Il Meeting di Rimini, in programma da oggi al 30 agosto, dedica una mostra a Giuseppe Tovini, un personaggio forse ai più sconosciuto, che ha però lasciato una traccia profonda nel nostro paese partendo da Brescia dove è vissuto nella seconda metà dell’Ottocento. In un’epoca in cui la cultura e il potere liberal-massonico incarnati da un altro bresciano come Giuseppe Zanardelli erano egemoni, questo avvocato di modeste origini, sposato con dieci figli, seppe tradurre in una ricchezza impressionante di opere un cattolicesimo che era prima di tutto esperienza di popolo. Il clima culturale e politico dell’Italia post unitaria non vedeva certo con favore un impegno dei cattolici nella vita sociale, ma è in tale panorama di accesi contrasti che Tovini sviluppa la sua azione a tutto campo: dalla politica alla finanza, dalla professione alle iniziative caritative, ma soprattutto all’educazione.



Qui è possibile accennare solo alle tappe principali del suo percorso. In politica nel 1871 è sindaco del suo paese, Cividate Camuno, poi consigliere comunale a Brescia (unico esponente cattolico) e consigliere provinciale. Nel settore economico-finanziario fra le iniziative più importanti vi sono la fondazione della Banca di Valle Camonica, nel 1872, della Banca San Paolo di Brescia, nel 1888, e del Banco Ambrosiano, nel 1896, dove, quasi al termine della sua vita, Tovini impegnerà tutte le sue forze per difendere la scelta che la banca avesse anzitutto finalità di sostegno delle opere del movimento cattolico e della scuola in particolare.



E proprio il centro della sua azione resta infatti la preoccupazione per quella che oggi viene definita “l’emergenza educativa”, ben espressa in una sua frase: “Le nostre Indie sono le nostre scuole”. Fonda così scuole ancora attive, asili, ma anche collegi per preparare all’insegnamento, e getta le basi per la nascita dell’Università Cattolica. Tutto questo fiorire di opere in poco meno di 56 anni. Di fronte all’imponenza di tale personalità non si può evitare di chiedersi quanto la sua azione abbia contribuito in modo decisivo al benessere diffuso e alla qualità della vita di cui oggi godiamo. Basti solo pensare al ruolo di scuole e banche.



È perciò singolare che una città come Brescia, amministrata a lungo da cattolici, abbia trovato modo di dedicare a Zanardelli il corso più importante del centro storico insieme a un grande monumento, dimenticando invece Tovini. Anzi la piccola chiesa che ospita i suoi resti mortali da un po’ di anni è stata oscurata dal “catafalco” dell’info point di Brescia Mobilità. Nessuna polemica, semplici constatazioni. Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI) riassumeva così il significato dell’opera di Tovini, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1998: “Dall’amicizia all’azione, dall’azione all’amicizia. Dove questa circolazione di carità ebbe il suo corso fiorirono le opere, ed ebbero piccole o grandi che fossero, fortunate o fallite, valore apologetico, virtù rappresentativa; e dove quella si rallentò, di queste si attenuò lo splendore e l’efficacia”.

E questo sarà anche il tema dell’incontro in programma a Rimini oggi con l’intervento, fra gli altri, di Giuseppe Camadini, presidente dell’Istituto Paolo VI. Un’eredità preziosa, quella di Tovini, che ci è stata consegnata e che è ancora straordinariamente attuale. Ma questa ricchezza è anche una sfida che possiamo raccogliere solo facendo nostro ciò che ha mosso la sua azione: cioè la bellezza di una fede amica dell’intelligenza e appassionata all’umano, di cui l’incredibile operosità di Tovini è il frutto maturo. All’origine non c’è il desiderio di un progetto egemonico, ma l’attenzione ai bisogni della persona concreta. Senza questa prospettiva tutto si ridurrebbe a un patrimonio da amministrare o a un potere da gestire, magari con tanto di etichetta cattolica, ma ormai svuotato della sua vera sostanza.