“O protagonisti o nessuno”. Alla fine delle Olimpiadi il titolo del Meeting di Rimini, che apre i battenti oggi, potrebbe essere immediatamente inteso secondo la mentalità dominante: chi non è il primo non conta. Scorrendo attentamente il programma del Meeting ci si accorge invece che il modello proposto è agli antipodi.

Infatti gente “comune”, eppure eccezionale, come Marguerite Barankitse (Premio internazionale Onu per i rifugiati), Rose Busingye (impegnata con le donne malate di AIDS in Uganda), Cleuza e Marcos Zerbini (alla guida di un grande movimento sociale di ex favelados a San Paolo del Brasile), Salih Osman (Premio Sacharov 2007 per il suo impegno tra e per i rifugiati del Darfur), i carcerati protagonisti della mostra Libertà va cercando, ch’è sì cara. Vigilando redimere, mostrano che si può vivere da protagonisti, cioè coscienti di chi si è, soddisfatti e rispettosi delle proprie esigenze profonde, e vincere anche in situazioni proibitive e senza chiamarsi Phelps.

Al Meeting si vuole verificare questa evidenza nei tre grandi ambiti in cui l’uomo di oggi incontra le maggiori sfide. La pace: di fronte a una situazione internazionale in cui, ad onta dello spirito olimpico, rinascono continuamente venti di guerra, violenze contro l’uomo e egoismi nazionalistici, il Meeting rilancerà il suo appello per l’amicizia tra i popoli, chiamando a discutere protagonisti nello scenario internazionale, quali il segretario della lega araba Amre Moussa, il presidente dell’Unione europea Barroso, l’ambasciatrice Usa in vaticano Mary Ann Glendon, il segretario di stato vaticano monsignor Mamberti, il cardinal Tauran.

Lo sviluppo economico e sociale: il popolo del Meeting chiederà a personaggi di rilievo internazionale come l’economista americana Anne Krueger, l’economista francese Jacques Attali e a numerosissimi politici, giornalisti, imprenditori, operatori della vita economica e sociale italiana, se una rinnovata responsabilità e il metodo della sussidiarietà, coadiuvati da politiche adeguate, possono contribuire a superare una crisi, non solo congiunturale, acuita da moralismi giustizialisti e da una finanziarizzazione isterica nemica dello sviluppo. La scienza e la vita: scienziati di fama mondiale come Sylvie Menard, Charles Harper, Gino Segre, Peter Ward si chiederanno se un uomo divenuto legge a se stesso sta usando gli strumenti che hanno migliorato la sua vita materiale come un boomerang, tra eugenetica e global warming.

Di solito la riflessione finisce così, in un incontro pubblico: ma la presenza al Meeting del monaco buddista giapponese Habukawa, del professore ebreo Weiler, dello scrittore israeliano Aharon Appelfeld, mostrano come sono innanzitutto le religioni, quando sono vissute senza tradire i desideri più profondi, ad aprire alla ragione più profonda del protagonismo.

Come afferma Luigi Giussani, nel nuovo libro Uomini senza patria (Bur Rizzoli) che sarà presentato durante il Meeting: «La lotta di oggi – culturale – è fra due concezioni dell’uomo, fra l’uomo che appartiene a qualcosa di più grande oppure che appartiene a se stesso […]. L’uomo che appartiene a se stesso è una manciata di polvere in cui ogni grano è staccato dall’altro e perciò può essere utilizzabile facilmente dal potere».

L’appartenenza a Dio diventa presagio e domanda che questo Dio diventi compagno nella vita quotidiana, in un’esperienza di novità, liberazione, bellezza – come mostra bene Exempla, bellissima mostra sulla ripresa dei modelli classici nell’arte italiana medievale – e in un’esperienza di unità perduta, come quella tra i cristiani, richiamata al Meeting dalla presenza dei teologi anglicani Hauerwas e Milbank, dai monaci ortodossi Mescerinov e Polujanov, e dai cattolici Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca e il cardinal Bagnasco, presidente della CEI. Perché, come dice Julian Carrón nella prefazione a Uomini senza patria, «chi lascia entrare Cristo attraverso la crepa delle proprie ferite e del proprio bisogno umano, si riempie di stupore davanti a quanto accade» e diviene protagonista di tutta la realtà, chiunque lui sia.

 

(Tratto da Il Giornale, 23 agosto 2008)