Se non avesse fatto lo scienziato, Galileo avrebbe fatto il pittore. Sì, proprio lui, il padre della scienza moderna, ha confessato ad alcuni amici la sua passione segreta che, se fosse stata assecondata, avrebbe modificato non poco il corso della storia della scienza. In realtà, è stata una passione non così nascosta, dal momento che appare certo che Galileo da giovane abbia frequentato una scuola di pittura e che abbia coltivato amicizie durature con alcuni pittori, primo fra tutti Ludovico Cardi detto il Cigoli. Proprio il Cigoli, nell’affresco dell’Assunzione della Vergine nella Cupola della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore a Roma, dipingerà la Luna sotto i piedi di Maria in accordo con i disegni di Galileo.
Di questo aspetto poco noto di Galileo non faranno fatica a convincersi i visitatori della mostra “Cose mai viste. Galileo, fascino e travaglio di un nuovo sguardo sul mondo”, a cura dell’Associazione Euresis,che sarà in esposizione al Meeting di Rimini che si apre domani. Il percorso della mostra prevede infatti una immedesimazione in quella straordinaria esperienza vissuta dallo scienziato pisano nelle notti invernali di 400 anni fa, tra il 1609 e il 1610. In quelle notti di incessante osservazione col nuovo strumento, il cannocchiale, ricostruito e perfezionato da Galileo sul modello di quelli olandesi, si è spalancato un nuovo volto del cielo notturno, con immagini che hanno sconvolto una visione del mondo consolidata e condivisa.
In effetti c’erano già nell’aria parecchie idee che facevano pensare a possibili mutamenti nella struttura del cosmo: la posizione centrale della Terrà non era più così assoluta e totalizzante come nella concezione aristotelica tradizionale e già si ipotizzavano movimenti di corpi celesti non più attorno al nostro pianeta. C’era poi stata, cinquant’ani prima, la tesi di Copernico che portava il Sole al centro di tutto e proponeva un modello matematico che funzionava molto bene come spiegazione di quanto si poteva osservare con gli strumenti pre-galileiani. Ma col cannocchiale tutto cambiava. Il cambiamento più radicale è quello derivato dalle osservazioni del gennaio 1610, quando Galileo, e con lui i visitatori della mostra, ha visto ruotare attorno a Giove quattro piccoli corpi, che ha subito battezzato come satelliti medicei, dedicandoli al granduca di Toscana Cosimo de Medici sperando di ottenere – come poi avvenne – l’ingaggio come matematico di corte a Firenze.
Prima di queste scoperte c’erano state altre osservazioni altrettanto sorprendenti, quelle della superficie della Luna, che sotto le lenti di Galileo perdeva la sua natura perfettamente levigata e candida per mostrarsi piena di increspature, avvallamenti, montagne e crateri. Uno scenario non più così strano per noi uomini del XXI secolo, che quella superficie l’abbiamo vista da vicino e, tramite alcuni nostri fortunati rappresentanti, anche calpestata e toccata. Però per un uomo del 1600 erano immagini assolutamente impensabili e sconvolgenti.
E qui entra in gioco il Galileo pittore e disegnatore. Gli schizzi abbozzati negli appunti presi quelle notti, i disegni riportati in alcune lettere mandate subito ad alcuni amici, le incisioni riportate nelle pagine principali del Sidereus Nuncius e gli acquerelli dipinti in alcuni spazi liberi dello stesso celebre libro: sono tutti frutto della sua abilità con matita e pennello e della sua precisione di documentarista scientifico.
Lo fa notare il professor William Shea, titolare della Cattedra Galileiana all’università di Padova, al quale si deve il ritrovamento degli acquerelli presso un collezionista americano e che ha appena terminato la cura di una riedizione del Sidereus Nuncius con una nuova traduzione (a cura di Tiziana Bascelli) più “leggibile” e meglio adatta alla sensibilità contemporanea. Le immagini degli acquerelli che si vedranno nelle sale del Meeting sono quelle riportate anche in copertina del volume, in uscita presso la Marcianum Press. In esse, come nei disegni si può notare l’attenzione con la quale sono evidenziati i punti luminosi sulle cime delle montagne, o la diversa ombreggiatura dei crateri. A volte la preoccupazione esplicativa di Galileo soverchia la fedeltà al dato osservativo, come nel caso del cratere Albategnius la cui dimensione viene amplificata per meglio evidenziarne la struttura.
Nel mettere in evidenza questi aspetti di perizia grafica al servizio della scienza, il professor Shea fa anche rilevare come essi ci aiutino a rivelare alcuni tratti originali dell’esperienza vissuta da Galileo e a capire le ragioni del suo successo. Confrontando i suoi disegni con quelli fatti dall’astronomo inglese Thomas Harriot, si nota un divario enorme: probabilmente Harriot ha visto la Luna col cannocchiale qualche tempo prima di Galileo ma non ha capito quasi nulla. Non solo, nei suoi disegni eseguiti un anno dopo, risalta evidente il riferimento ai disegni del Sidereus, la cui lettura deve aver rivelato a Harriot quello che il suo occhio non aveva percepito.
Merito quindi di Galileo che ha saputo sfruttare al massimo quel mix di condizioni favorevoli che, poco o tanto costituiscono gli ingredienti di ogni scoperta scientifica: grande capacità osservativa, ottima strumentazione disponibile (le prestazioni del suo cannocchiale sono rimaste ineguagliate per una trentina d’anni), abilità nel descrivere e rappresentare quello che osservava; ma soprattutto grande libertà di immaginazione e coraggio di rischiare seguendo una intuizione felice. In una parola: genialità.