Il titolo della XXX edizione del Meeting di Rimini – “La conoscenza è sempre un avvenimento” – delinea un tema rilevante anche se, in apparenza, inattuale. Se c’è un tempo, infatti, in cui il valore del conoscere è decisamente in ribasso, quello è il nostro. Nel listino dei modelli sociali dominanti cantanti, attori, giocatori precedono, di gran lunga, scienziati, filosofi, poeti. Nella società del divertissment, dominata da eros, musica, droga, spots, l’albero della vita non coincide con quello della conoscenza.



Dopo quattro secoli, segnati dall’avventura del sapere, la modernità è giunta ad un punto di stallo, di saturazione, di stanchezza. La crisi è profonda e di essa la débâcle del sistema scolastico-universitario è causa ed effetto ad un tempo. Se così è, il titolo del Meeting andrebbe precisato: la conoscenza, allorché accade, è un avvenimento. Il che è ciò che raramente avviene. Nella stanca ripetizione di formule, nel vuoto di idee e nella carenza di ideali, letteratura, filosofia, teologia, arte, cinema, sembrano, oggi, non dire più nulla. Solo il sapere scientifico prosegue la sua strada senza, però, appassionare e coinvolgere i non specialisti. L’“avvenimento”, quando irrompe, risulta essere estraneo al conoscere. Così è stato per l’11 settembre 2001, nonché per la crisi economico-finanziaria mondiale che stiamo attraversando.



Se questo è il quadro va detto che esso appare come un epilogo, apparentemente inatteso, di uno scenario diverso: quello del pensiero del ’900 nel quale la relazione tra conoscenza e avvenimento ha assunto un ruolo senza precedenti. Dalla rivoluzione scientifica di Einstein, che indurrà taluni a parlare di “rottura epistemologica” (Bachelard) e di “nuovi paradigmi”  (Kuhn), alle avanguardie artistico-letterarie del primo ’900, alla teologia dell’Evento (Barth), al “ritorno alle cose stesse” della scuola fenomenologica, all’esperienza del pensare in Heidegger, l’orizzonte culturale del secolo passato è tutto incentrato sull’idea di rivoluzione del e nel conoscere, sul “novum” che sconvolge i modelli stabiliti, che scompagina le ideologie e i sistemi, che coinvolge, nella sua realtà, il soggetto stesso del conoscere. Il francese Henri Bergson è qui colui che apre la strada: il tempo non è, nell’uomo, neutrale, è il luogo di accadimenti sempre nuovi. Da qui parte Charles Peguy, con la sua idea che la grazia è ciò che rompe l’inerzia dell’abitudine che tutto logora, nonché Hannah Arendt, per la quale l’evento della nascita, del sorgere dell’io come intervallo tra passato e futuro, è l’evento che il pensiero, finora, ha raramente preso in considerazione. Da qui proviene Franz Rosenzweig per il quale l’amore autentico non è quello, astratto, della filantropia universale, ma quello che sorge da un accadimento, cioè da un evento particolare che interdice l’amore per il più lontano prima che possa essere l’amore per il più vicino.



Bergson, Peguy, Rosenzweig, la Arendt, tutti percepiscono la conoscenza come avvenimento. Conoscere, il conoscere autentico, modifica colui che conosce. Come scrive Paul Ludwig Landsberg: «Ogni conoscenza è una trasformazione. Si tratta sempre di un avvenimento in cui, nello spirito, qualche cosa passa dalla potenza all’atto mediante la partecipazione all’oggetto». Conoscere il mondo, la realtà, gli altri, non lascia indifferenti. L’atto di conoscere, quando non è “astratto”, computerizzato, dissolto nell’abitudine, porta con sé un pathos, l’eco di una sorpresa di fronte alla presenza, a ciò che è presente. La conoscenza diviene avvenimento quando percepisce il reale come “avvenimento”.

Ciò può accadere secondo una quadruplice modalità. In primo luogo la scoperta dell’essere, dell’esistenza, della contingenza del mondo: «perché l’essere e non piuttosto il nulla?». Poi la comprensione del come l’essere è, del mosaico infinito delle forme di cui si compone: dalle armonie geometrico-matematiche del cosmo, alle strutture viventi, al microuniverso atomico-molecolare. Quindi la percezione stupita, al di là delle essenze, della propria esistenza singolare, del proprio “io”, del “tu” altrui, destinati a non avere equivalenti. Una scoperta, questa, che diviene evidente nella conoscenza amorosa, nell’io che diviene significativo a sé stesso perché amato da un altro. Da ultimo la comprensione, drammatica, della contraddizione esistenziale, tra il bene e il male, tra la vita e la morte, tra la finitezza e il desiderio dell’infinito. Nella percezione di questi quattro punti sta l’esperienza della conoscenza, il luogo di nascita di ogni autentica espressione culturale. Qui la conoscenza può divenire davvero “avvenimento”.