«Il federalismo? Sia quello che dice il nome: un vero patto per organizzare diversamente lo stato e i rapporti tra istituzioni e società, e non una via per contrapporre i territori». Lo dice Vannino Chiti, vicepresidente del Senato, al Meeting di Rimini per un incontro con il ministro Sacconi sul nuovo Welfare. «Il 5 per mille? Aspettiamo solo l’indicazione del tetto di spesa da parte del governo».
Vicepresidente Chiti, tra le molte virtù del federalismo ci sarà anche quella di risolvere il problema del sud?
Penso che dare autonomia e responsabilità vera ai livelli locali e regionali contribuirà a selezionare meglio la classe dirigente. Se questa non fa bene viene mandata a casa, per questo penso che il federalismo potrà fare molto. Ma bisogna essere precisi su un punto: il federalismo deve essere fino in fondo quello che la parola dice, cioè un foedus, un patto per organizzare diversamente lo stato e i rapporti tra istituzioni e società, e non una via per dividere o creare una contrapposizione tra territori.
Ieri Sacconi ha spiegato l’agenda di welfare del governo. Cosa può dare invece la sinistra all’innovazione del welfare?
L’universalismo innanzitutto. Il welfare non deve discriminare ma costruire un’uguaglianza di opportunità, al cui interno, poi, deve trovar posto la valorizzazione del merito. In secondo luogo c’è il mutualismo. Quelle che chiameremmo forze progressiste ispirate alla sinistra sono nate anche in Italia sulla base mutualista. Prima i sindacati, le cooperative e le società di mutuo soccorso, poi il partito politico che ha fatto da riferimento. Il contributo che può venire da questa base mutualistica, solidaristica e incentrata sulla società mi sembra rilevante.
La riforma del welfare è una variabile dipendente della spesa pubblica?
No. Una riforma del welfare vista soltanto come via alternativa alla difficoltà di far ricorso alla spesa pubblica non ci porta ad un nuovo welfare, ma ad un welfare in cui lo stato nei momenti di bisogno ricerca i soggetti del terzo settore per fargli fare da tappabuchi. Ma questo non va nella direzione giusta.
Dunque?
La società è cambiata: prima al centro c’erano soltanto le fabbriche, oggi l’economia è molto più diversificata e articolata. Adesso prima dell’intervento risarcitorio c’è quello che costruisce uguaglianza e opportunità mediante istruzione e formazione, c’è quello della sanità. Il welfare che deve essere ricostruito è quello che fa essere protagonista della sua realizzazione la persona. Questo non può essere legato alla spesa pubblica, casomai è legato alla qualità della spesa pubblica.
Udc, Lega, Di Pietro: sono la smentita di un bipartitismo o di un bipolarismo compiuto come lo si è auspicato fino ad ora. Che si fa? Una riforma elettorale?
Alla legge elettorale bisogna rimettere mano senz’altro perché quella attuale è pessima: quella per il Parlamento non dà la scelta al cittadino del proprio rappresentante nelle istituzioni. Questo è l’aspetto che non funziona e che va rivisto. A mio avviso il problema tuttavia non è quello del bipolarismo; il bipolarismo funziona. Che l’Italia abbia cinque, sei o sette forze politiche in Parlamento come avviene in gran parte d’Europa è un fatto importante e non è un’obiezione. E che i cittadini prima delle elezioni sappiano quali alleanze vengono proposte, così che possano determinare di conseguenza la loro scelta è altrettanto fondamentale…
Dove stanno allora le sue perplessità?
Non credo al bipartitismo in Italia, né ad una repubblica presidenziale. Penso ad un modello di riforma della democrazia che si fondi su un rinnovato Parlamento e su un governo parlamentare. Ci sono esperienze significative con leggi elettorali diverse in Spagna e Germania: studiamole. Un altro aspetto sul quale impegnarci a fondo è il ruolo dell’informazione, che oggi, nella democrazia moderna, è effettivamente un quarto potere. Se l’informazione non è pluralista, non è effettivamente autonoma e non svolge la propria funzione in modo efficace, sia nazionalmente che sul territorio, la democrazia ne risente e si impoverisce. È un aspetto da non sottovalutare.
Ce la farete a stabilizzare il 5 per mille in tempi ragionevoli?
Il progetto di legge del 5 per mille è stato costruito e presentato dall’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà ed esprime un consenso bipartisan: la volontà politica c’è. Il Senato da tre mesi avrebbe potuto approvare la legge, ma non è potuto avvenire perché il governo non ha sciolto il nodo delle risorse. La questione che poneva Sacconi ieri è che il governo indichi subito il tetto di spesa; purtroppo però non ho capito se questo avverrà.
In caso positivo?
Se arriva l’indicazione del governo, il Senato approva e il tutto va alla Camera. Anche alla Camera non dovrebbero esserci intoppi e questo vorrebbe dire stabilizzare la legge del 5 per mille prima della nuova finanziaria. Altrimenti salta di un anno.
Il problema è Tremonti?
Tremonti deve dire – e auguriamoci che lo dica venerdì – «questa è la cifra». Da parte nostra abbiamo detto chiaro e tondo che ancor più importante delle risorse – di quanto cioè viene messo a disposizione – è che la legge diventi permanente. Anche perché, al di là dell’interessantissimo dibattito sul nuovo welfare, se su 26 milioni di cittadini che hanno pagato le tasse 19 milioni hanno deciso la destinazione del proprio 5 per mille, questo rappresenta un capitale umano di responsabilità e di rapporto fiduciario con le istituzioni che non possiamo permetterci di deludere o di disperdere.
Il titolo del Meeting come interroga la sua personale azione politica?
La politica non può essere soltanto contrapposizione e scontro, ma approfondimento, conoscenza e dialogo, all’interno del quale poi ognuno si assume la responsabilità delle scelte.