Nel 1964 ha vinto il premio Nobel per la fisica, per la scoperta della tecnologia del maser e del più noto laser; nel 2005 gli è stato assegnato il premio Templeton per i suoi contributi sulla tematica del rapporto tra scienza e fede. Tra l’uno e l’altro una catena di altri premi e riconoscimenti nazionali e internazionali. Così si presenta Charles Townes alla platea del Meeting di Rimini, dove interverrà oggi all’incontro clou della giornata sul tema: “L’esperienza umana della scoperta”, insieme con Yves Coppens, professore Emerito al Collège de France, con l’astrofisico John Mather, anch’egli Premio Nobel per la Fisica (nel 2006) e col coordinamento di Marco Bersanelli.



Townes, dall’alto dei suoi 94 anni, è ancora pienamente attivo in campo scientifico tanto che nel giugno scorso è apparso su The Astrophysical Journal Letters un articolo con i risultati dello studio da lui condotto insieme a un gruppo di colleghi e relativo ai cambiamenti di dimensione di Betelgeuse, una supergigante rossa, una delle stelle più luminose del cielo.



È inevitabile, nel suo caso, partire da un richiamo alla grande scoperta che l’ha lanciato, negli anni Cinquanta del secolo scorso, sulla ribalta scientifica internazionale.

Le avranno chiesto più volte di raccontare come è arrivato alla scoperta del maser e poi del laser. Cosa ancor oggi la colpisce di quella esperienza?

L’aspetto più impressionante di questa esperienza è stato avere avuto l’idea. Era l’aprile del 1951 ed ero seduto su una panchina nel Franklin Park di Washington, nell’intervallo di un convegno sulle microonde e cercavo di capire come realizzare degli oscillatori ad alta frequenza. Avevo lavorato su questo problema per molti anni. Avevo provato molte cose, ma nessuna funzionava e non capivo perché. Il problema era complicato, perché, secondo le leggi della termodinamica devi rompere le molecole per avere abbastanza energia e non si poteva disobbedire alla termodinamica. Improvvisamente mi venne un’idea: provare a realizzare una specie di cassa di risonanza per la radiazione prodotta dal salto degli elettroni da un livello energetico più alto a uno più basso. Riflettendo la radiazione, si poteva innescare una emissione con una lunghezza d’onda costante. Era l’idea del maser (Microwave Amplification by Stimulated Emission Radiation). Tirai fuori dalla tasca un pezzo di carta, scrissi alcune equazioni e mi resi conto che avrebbe potuto funzionare. Pochissime persone però erano convinte di questo: io avevo uno studente e un post-doc che lavoravano al sistema cercando di farlo partire. Dopo due anni, il direttore del dipartimento entrò nel mio ufficio dicendo: questo non funzionerà… lo sai, vero? Ma solo due mesi dopo avevamo il primo prototipo: a questo punto tutti volevano lavorare con noi e diventò molto interessante sia in ambito accademico che in ambito industriale.



E per arrivare al laser?

A questo punto iniziai a studiare come raggiungere lunghezze d’onda più corte: ho scritto le equazioni e mi sono reso conto che si potevano raggiungere le lunghezze d’onda visibili. Il mio primo obiettivo era operare sulle alte frequenze, ma ho iniziato con le microonde perché era la strada più semplice: fin dal principio, volevo usare questo strumento per la spettroscopia ottica. Con la spettroscopia delle microonde, avevamo ottenuto risultati estremamente precisi, per cui volevo muovermi nell’ambito del visibile. Allora ero un consulente ai Bell Telecom Laboratories, dove lavorava anche mio cognato, Arthur Schawlow, che era stato mio studente e decise di aiutarmi in questa impresa. Schawlow ebbe l’idea di usare due specchi paralleli per riflettere la radiazione avanti e indietro (io avevo pensato di usare una cavità quadrata). Il fatto interessante, che mostra come le idee nuove non sempre vengono accettate, è che ho proposto ai Bell Laboratories di brevettare l’invenzione: ci hanno risposto che non erano interessati, perché la luce non era mai stata usata nelle telecomunicazioni (“potete brevettarlo per voi stessi, se siete interessati”). Per il brevetto, il laser venne denominato “maser ottico” (il maser era una tecnica molto nota ormai). Sapevo che se avessi iniziato a lavorare sul sistema, moltissime persone avrebbero tentato di competere con me: quando avevo costruito il maser, nessun altro era interessato, per cui avevamo potuto prenderci tutto il tempo necessario. Per questo motivo, io e Schawlow decidemmo di scrivere un articolo teorico su come costruire un maser ottico e molti gruppi furono entusiasti all’idea di lavorare in questa direzione. I primi laser vennero tutti costruiti in ambito industriale.

Gli studi che hanno portato al laser sono stati importanti solo per le applicazioni tecnologiche più note o ci fanno capire meglio qualche aspetto del comportamento della natura?

Mi sono reso conto che il laser sarebbe stato importante in moltissimi modi: per misurare distanze, per misurare linee rette, per tagliare e saldare (era uno strumento molto potente, con un’altissima concentrazione di energia). Ma non fui capace di riconoscere le molteplici applicazioni mediche del laser: per curare gli occhi, per esempio. Moltissime scoperte scientifiche sono state ottenute tramite l’uso del laser e questo era il motivo per cui l’avevo inventato, per studiare problemi scientifici. Finora, una dozzina di premi Nobel sono stati attribuiti a ricerche effettuate con questa mia invenzione, che comprendono importantissimi contributi in diversi ambiti della scienza, specialmente dove sono necessarie misure di altissima precisione o misure spettrali.

Papa Benedetto XVI nel messaggio inviato a questo Meeting 2009 ha parlato del coinvolgimento personale con l’oggetto conosciuto come conditio sino qua non per la conoscenza, contro l’idea di una astratta oggettività. Quanto conta la passione nella scoperta scientifica?

La passione e l’interesse sono importantissimi per fare delle scoperte: per essere un buono scienziato, devi essere molto interessato. Fare scienza è affascinante e divertente, mi piace raccontare che io non ho mai lavorato nella mia vita: faccio ricerca e mi diverto un sacco. Da sempre faccio le cose che mi piacciono: ho seguito il mio interesse per le lunghezze d’onda corte e ho lavorato su questo problema in diversi modi, finché ho avuto l’idea giusta.

Qual è stata la sua reazione all’annuncio che le avevano assegnato il premio Templeton? Le era già capitato di esprimere pubblicamente la sua posizione di credente?

Fui molto felice e orgoglioso di ricevere il Premio Templeton. Sono molto interessato alle idee religiose e penso che la religione sia molto importante per tutti gli esseri umani. Credo in Dio e credo che la spiritualità sia molto importante per me. Nello stesso anno del conferimento del Nobel, fui invitato dal Men’s Bible study Group del Manhattan’s Riverside Church (vicino a Columbia) a parlare del rapporto tra scienza e religione. Era stato selezionato perché ero l’unico scienziato da loro conosciuto che andava regolarmente in chiesa. Sulla base di questa prima conferenza sul rapporto fra scienza e religione, nel 1966 scrissi l’articolo La convergenza tra scienza e religione, che venne pubblicato sull’IBM Journal Think e, in seguito, sul Massachuttes Institute of Technology (MIT) Alumni Journal e in molte altre pubblicazioni, in cui mi dichiaravo sostenitore dell’affinità tra le due discipline. Sono stato uno dei primi scienziati a parlare pubblicamente del rapporto fra scienza e religione in termini positivi.

Cos’hanno detto i suoi colleghi quando hanno saputo che lei è un devoto cristiano?

In realtà ci sono molti più scienziati credenti di quanto si pensi. Certamente alcuni dei miei colleghi pensavano che fossi pazzo: mi tolleravano ma pensavano che fossi un po’ pazzo.

In questi anni è cambiata la posizione degli scienziati sul possibile costruttivo dialogo tra scienza e fede?

Penso che quello che ho detto e scritto abbia contribuito, in questi anni, a migliorare questa situazione: gli scienziati cercano di avere una mentalità molto più aperta verso la religiosità e c’è un dialogo molto costruttivo in entrambe le direzioni.

 

Quando la interrogano sulla sua esperienza di scienziato credente, su quali punti preferisce soffermarsi?

La religione è stata molto importante nella mia vita. Sono sempre stato ispirato e guidato dalla religione. La religione mi ha aiutato a capire meglio la scienza? È difficile da dire, non lo so ma credo di sì. Certamente la religione mi ha offerto un punto di vista, una posizione circa il modo di lavorare e così via. Ha formato e influenzato la mia vita in moltissimi modi: certamente nella mia famiglia, ma sicuramente anche nel come faccio scienza. E mi ha insegnato a sostenere le mie idee, mi ha dato il coraggio di essere me stesso quando la gente mi dice che ho torto: devo credere a quello che penso, non a quello che mi dicono. Mi ha insegnato a rischiare per le mie idee, quando altra gente non era d’accordo con me.