«Il Meeting è un volontario che sta per ore sotto il sole a discutere con chi vorrebbe parcheggiare dove non si può» . Ha abbracciato Tony Blair e ha stretto la mano a due premi Nobel ma per Giorgio Vittadini l’incontro più importante è ancora quello con chi ha sgobbato una settimana per rendere possibile l’evento culturale e politico più ricco dell’anno. Nessun sentimentalismo: il giudizio del presidente della Fondazione per la Sussidiarietà riflette l’idea ciellina del rapporto tra la persona e Dio, una concezione teologica e morale basata sull’incontro con Cristo, fondata su un incontro reale, fatto di testimonianza e di opere, di preghiera e di sudore.
Da Giovanni Paolo II a Von Balthasar, dai Trabalhadores Sem Terra a Milbank: quale, tra i tanti che sono passati in questi trent’anni dalla Fiera di Rimini, rappresenta meglio il Meeting?
Senza nulla togliere ai giganti della fede, della cultura o della pace, il Meeting di Rimini è il suo popolo e in particolare lo sono i volontari che svolgono ogni sorta di servizio. Vengono qui per lavorare gratis, si pagano l’hotel, non possono seguire la manifestazione se non quando non devono coprire il proprio turno e soprattutto provano la delusione dei primi discepoli di Cristo.
Prego?
Ma sì, ogni giorno questi ragazzi trascorrono ore a discutere con chi vorrebbe parcheggiare dove non può. E poi, Blair si è lamentato per l’afa ma loro passano ore sotto il sole; mi pare logico che possano essere delusi come lo erano i discepoli del Signore quand’erano reietti e attaccati da tutti. Poi tornano a casa e capiscono che l’arricchimento personale, l’insegnamento del Meeting consiste in quel che hanno dato, nell’essersi messi in gioco, aver sofferto. Soprattutto quest’anno, loro sono il cuore del Meeting, perché loro arrivano davvero alla conoscenza, che è sempre un avvenimento.
Siamo sicuri che la realtà non sia più semplice e cioè che molti tornino veramente delusi da questo incontro?
I numeri che crescono ogni anno, anche quelli di chi si offre di lavorare qui, dicono il contrario. Ma sarebbe banale farne un discorso statistico. Il volontario stremato dalla fatica incarna perfettamente l’uomo che arriva alla conoscenza perché, come ci hanno insegnato Brague, Mather e Townes, non si conosce nulla se non si è implicati. Di Martino, che ha riletto la filosofia moderna sotto questa luce, ha smontato pezzo per pezzo la pretesa di estrarre il soggetto dal processo conoscitivo e Carrón ha messo in cima all’esperienza speculativa cristiana l’avvenimento della conversione, analizzando il caso di San Paolo. La Glendon, poi, ha esplicitato i legami tra la bellezza e il diritto naturale, dimostrando che ogni uomo è in grado di cogliere questo nesso. La conoscenza non può essere anaffettiva e solo quando l’uomo coglie l’avvenimento e si fa coinvolgere dalla realtà abitata dal Mistero è in grado di “conoscere” realmente. In questo senso, una settimana di fatica può essere più efficace che assistere distrattamente all’intervento di un premio Nobel.
Dal Meeting sono passate centinaia di migliaia di persone. Cosa pensa che sia rimasto a loro di quest’esperienza?
Pochi sanno che i gruppi di Comunione e Liberazione proseguono il cammino del Meeting durante l’anno, ma da tempo a quest’evento non partecipano solo ciellini e anche agli “altri” resta molto.
Oltre ai contenuti che hanno acquisito, qui si stabiliscono dei legami, con i relatori e tra il pubblico, che non finiscono dopo il Meeting. Marco Bersanelli, partendo da Rimini, ha avviato un programma di collaborazione con la Templeton Foundation. Molti imprenditori, professori di scuola, giovani di ogni sensibilità vengono qui a cogliere spunti che poi mettono a frutto nella loro esperienza di vita.
Il Meeting è solo un incontro tra culture oppure modifica rapporti, situazioni, insomma lascia un segno nella storia dei popoli?
Qui si compiono avvenimenti che hanno riflessi storici. Il convegno dei leader africani con Frattini, ad esempio, ha permesso una serie di incontri bilaterali. La dimensione sempre più internazionale di questa manifestazione non significa solo un cartellone più ricco, ma anche altrettanti spezzoni di sviluppo che cerchiamo, pazientemente, di costruire. Anche in termini ecclesiali, il Meeting ci cambia tutti: il clima di apertura che si realizza a Rimini non riguarda solo i ciellini.
I politici fanno la fila per venire qui. Anche loro stanno cambiando?
La “nostra” politica è quella che accetta di affrontare i problemi dell’uomo, a muoversi sui fatti, utilizzando lo strumento del dialogo. Non ci interessa invece chi si appiattisce sul gossip politico e personale: abbiamo cose più importanti di cui parlare. Ciò detto, credo che affrontare il tema dell’immigrazione con i leader africani significhi lasciare un segno, porre le basi per risolvere quel problema. Così come parlare della crisi con il governatore Draghi o con il ministro Tremonti vuole dire comprendere meglio lo scenario in cui ci muoveremo tra qualche settimana. Questa è la politica che piace al Meeting, la politica che dibatte – come hanno fatto Lupi e Bersani – senza prendersi a calci negli stinchi o delegittimare le persone. Del resto l’esempio più autorevole e chiaro, in questo senso, lo ha dato l’intervento del presidente del Senato Renato Schifani che ha mostrato la strada per una ripresa umana, culturale, politica per l’Italia, in un clima di concordia e operosa costruttività.
Ma poi cambia qualcosa?
L’intergruppo della Sussidiarietà è nato qui, è figlio del Meeting.
Questo è stato anche il Meeting delle conversioni…
Oltre alla testimonianza di Blair, quest’anno si è parlato molto della conversione di Jannacci e lui ha chiarito che non si è convertito perché era già credente. Dico però che ancora una volta abbiamo incontrato un uomo vero in azione, sul palco e fuori. L’incontro con lui resterà nella storia del Meeting.
Il Meeting è anche un format vincente: dopo trent’anni pensate di cambiarlo?
Non se ne parla, anche perché lo cambiamo tutti gli anni: i focus, un certo modo di organizzare le mostre e la stessa ristorazione sono nati o sono stati trasformati in relazione agli input che provengono dai protagonisti. Spesso sono gli stessi relatori a proporci delle soluzioni innovative per l’anno successivo. È successo con Cleuza e Marcos Zerbini e con padre Aldo, giganti dell’evento. Infine, o in primis a seconda dei casi, è importante il dialogo con le altre realtà della Chiesa e con le altre Chiese. Poiché la cifra del Meeting è anche religiosa, infatti, una parte del programma nasce in sintonia con le autorità ecclesiastiche.
(Paolo Viana)