«Basta demiurghi, tribuni della plebe e cooptazioni. La società italiana finora è riuscita a rigenerarsi indipendentemente dal potere. Ma quanto può reggere con una politica così distante, livida, ideologica?» Eppure Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, mantiene un grumo di ottimismo, perché Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore, come recita il titolo 2010 del Meeting di Rimini di cui è animatore.



Quasi a contraltare dell’anno scorso, l’attesa kermesse ciellina continua a interrogarsi sulla parole di Don Giussani, legando pensiero e attualità, cultura e religione, e più prosaicamente potenti e politici (ogni anno si scruta chi c’è per pesarne lo status nel borsino del potere) in un paese spappolato da un’estate velenosa. «In fondo il cuore, l’uomo è desiderio di cose grandi, accomuna tutti, credenti e non», spiega Vittadini. «E’ la più grande affermazione contro relativista che possediamo. Esiste un punto oggettivo per scorgere la verità indipendentemente da quale essa sia».



Intorno a questo filo si snoda l’edizione 2010. Ci sarà un primo filone di approfondimento, con Stefano Alberto e il Cardinal Scola che tratteranno della natura dell’io come propria di ciascuno, cattolico o no. Un secondo centrato sul dialogo ecumenico e la lettura della Bibbia di Joseph Weiler. Un terzo su testimonianze di vita vissuta: un Indiano di Vancouver, dei ragazzi ugandesi, una ricercatrice sul cancro. In sostanza cos’è il dialogo sulla verità nella ricerca avanzata o nell’Africa di oggi. Infine un quarto filone scientifico, con la mostra sulla matematica e quella sul bene nella scienza.



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 «Se si perde di vista questo desiderio del cuore la quotidianità si insterilisce e l’impatto nella vita reale è devastante», ragiona Vittadini. A Rimini proveranno a raccontarlo con la mostra “Dentro la crisi, oltre la crisi”. «C’è infatti un problema antropologico alla base dello tsunami finanziario: la riduzione della razionalità dell’uomo. Si guarda al profitto a breve, mentre la razionalità economica è cosa più larga». Con la crisi e l’enciclica Caritas in Veritate il tema si è riaperto, senza rivangare vecchi terzomondismi. «Al Meeting ci sarà non a caso Sergio Marchionne – continua Vittadini – che ci spiegherà cosa vuol dire rilanciare una multinazionale sull’economia reale, rompendo tabù inveterati nelle relazioni industriali, sconvolgendo Confindustria, i sindacati e il concetto di produttività».

 

Ci sarà Giulio Tremonti, «un personaggio interessante», lo definisce Vittadini. «Uomo di stato di cui apprezzo la marcia indietro sulle fondazioni bancarie e la lettura politico-culturale della crisi finanziaria». Attraverso questo prisma si snoderanno dibattiti su welfare e povertà, mercato del lavoro, immigrazione (il ministro Maroni si confronterà con casi di integrazione riuscita), giustizia, federalismo e Europa. «Insomma se la domanda nasce dal desiderio, si guarda alla realtà senza ridurla», abbozza il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. Più di altri anni ci saranno incontri non strettamente politico-partitici. «Preferiamo costringere la politica a stare sui temi».

Una politica «distante, rissosa», per Vittadini, leader di un movimento che da anni appoggia il centrodestra egemone. Dunque il ragionamento è importante. «Lo sviluppo del mio io avviene sempre nella realtà. In luoghi popolari, dove posso sperimentare la risposta pluralista. La politica deve dare forza a questa idea. Ma se i partiti non si paragonano a esperienze di base, si ideologizzano». Questo è il grande tema dell’oggi: «Ricostruire il nesso tra società civile, economia e partiti». Per questo la sfida del federalismo è importante: «Potrebbe riprodurre il nesso, ad esempio in una nuova visione di welfare partecipato. E sempre per questo siamo contrari a elezioni anticipate e a governi tecnici. La priorità è la crisi economica, gli italiani non capirebbero. Inoltre ci sono in cantiere riforme da non interrompere: federalismo fiscale, welfare, università, lavoro e sud, che è peggio di 20 anni fa. Andiamo avanti, poi daremo un giudizio».

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La stessa Unità d’Italia, alla vigilia del 150esimo anniversario, per Vittadini «sta in piedi solo se valorizziamo lo Stivale, funzioni e vocazioni diverse. Ad esempio Gioia Tauro è un asset potenzialmente straordinario. Peccato manchi il retro porto. Prima del ponte di Messina, farei la ferrovia per Gioia Tauro. Ma se Roma resta il cuore di ogni erogazione, non ci siamo». Questo dev’essere il federalismo: «Non solo contenimento dei costi, ma cultura delle diversità. Invece su questi temi decisivi c’è una latitanza spaventosa. La politica oggi è solo leadership carismatica, e non è nemmeno vero che questo aumenti le capacità decisionali. Lo statista non è un divo ma un primus inter pares e il Parlamento dovrebbe essere un contrappeso, invece è umiliato. Né è credibile che uno entri in politica perché ti coopta il capo».

In questo senso per Vittadini il cortocircuito attuale è un esito del ’92, l’anno della cesura di Tangentopoli, quando si butta il bambino con l’acqua sporca. «L’economia, il tessuto vivo dell’associazionismo, finora è riuscito a rigenerarsi indipendentemente dal potere. Ma fino a quando può reggere?». Anche sul Verdinigate, le escort, la casa a Montecarlo di Gianfranco Fini e tutto quest’anno orribile sbirciato dal buco della serratura del Palazzo, è tranchant: «La morale è sempre figlia dell’ideale», si scalda Vittadini.

«Chi ruba lo fa perché non ha il desiderio di un ideale. Se salto questo passaggio, come ha fatto Famiglia cristiana di recente, non si capisce nulla e si diventa parte del problema. Il moralismo infatti ha il difetto tremendo di non offrire mai le condizioni positive per uscire dal degrado. Il “non devi” non basta, devi avere il desiderio di fare il bene comune perché è più bello». E qui torniamo al titolo del meeting di quest’anno. «La moglie di Cesare è onesta perché ama Cesare e quindi non lo tradisce…».

 

(Marco Alfieri)

 

Intervista pubblicata su La Stampa di oggi

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