Dal Vaticano, 10 Agosto 2010

Eccellenza Reverendissima,

Con gioia ho il piacere di trasmettere il cordiale saluto del Santo Padre a Vostra Eccellenza, agli organizzatori e a tutti i partecipanti al Meeting per l’Amicizia tra i Popoli, che si svolge a Rimini. Quest’anno il titolo della vostra importante manifestazione – “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore” – ci ricorda che al fondo della natura di ogni uomo si trova un’insopprimibile inquietudine che lo spinge alla ricerca di qualcosa che soddisfi questo suo anelito. Ogni uomo intuisce che proprio nella realizzazione dei desideri più profondi del suo cuore può trovare la possibilità di realizzarsi, di compiersi, di diventare veramente se stesso. L’uomo sa che non può rispondere da solo ai propri bisogni. Per quanto si illuda di essere autosufficiente, egli sperimenta che non può bastare a se stesso. Ha bisogno di aprirsi ad altro, a qualcosa o a qualcuno, che possa donargli ciò che gli manca. Deve, per così dire, uscire da se stesso verso ciò che sia in grado di colmare l’ampiezza del suo desiderio. Come il titolo del Meeting sottolinea, non qualsiasi cosa è la meta ultima del cuore dell’uomo, ma solo le “cose grandi”.



L’uomo è spesso tentato di fermarsi alle cose piccole, a quelle che danno una soddisfazione ed un piacere “a buon mercato”, a quelle che appagano per un momento, cose tanto facili da ottenere, quanto ultimamente illusorie. Nel racconto evangelico delle tentazioni di Gesù (crf. Mt 4, 1-4) il diavolo insinua che sia “il pane”, cioè la soddisfazione materiale, a poter appagare l’uomo. Questa è una menzogna pericolosa, perché contiene solo una parte di verità. L’uomo, infatti, vive anche di pane, ma non di solo pane. La risposta di Gesù svela la falsità ultima di questa posizione: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). Dio solo basta. Lui solo sazia la fame profonda dell’uomo. Chi ha trovato Dio, ha trovato tutto. Le cose finite possono dare barlumi di soddisfazione o di gioia, ma solo l’infinito può riempire il cuore dell’uomo: “inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te – il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” (Sant’ Agostino, Le Confessioni, I, 1.).



L’uomo, in fondo, ha bisogno di un’unica cosa che tutto contiene, ma prima deve imparare a riconoscere, anche attraverso i suoi desideri e i suoi aneliti superficiali, ciò di cui davvero necessita, ciò che veramente vuole, ciò che è in grado di soddisfare la capacità del proprio cuore. Dio è venuto nel mondo per risvegliare in noi la sete di “cose grandi”. Lo si vede bene in quella pagina evangelica, di inesauribile ricchezza, che narra dell’incontro di Gesù con la donna samaritana (crf. Gv 4,5 – 42), di cui Sant’ Agostino ci ha lasciato un commento luminoso. La samaritana viveva l’insoddisfazione esistenziale di chi non ha ancora trovato ciò che cerca: aveva avuto “cinque mariti” ed in quel momento conviveva con un altro uomo.



Quella donna, come faceva abitualmente, era andata ad attingere acqua al pozzo di Giacobbe e vi trovò Gesù, seduto, “stanco del viaggio”, nella calura del mezzogiorno. Dopo averle chiesto da bere, è Gesù stesso che le offre dell’acqua, e non una qualsiasi, ma “un’acqua viva”, capace di estinguere la sua sete. E così egli si faceva spazio “a poco a poco […] nel cuore di lei” (Sant’ Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, XV, 12), facendo emergere il desiderio di qualcosa di più profondo della semplice necessità di soddisfare la sete materiale. Sant’ Agostino commenta: “Colui che domandava da bere, aveva sete del desiderio di quella donna” (Ibid. XV, 11).

Dio ha sete della nostra sete di Lui.

 

Lo Spirito Santo, simboleggiato dall’ “acqua viva” di cui parlava Gesù, è proprio quel potere vitale che placa la sete più profonda dell’uomo e gli dona la vita totale, quella vita che egli cerca e attende senza conoscerla. La samaritana lasciò allora a terra la brocca “che ormai non le serviva più, anzi era diventata un peso: era avida ormai di dissetarsi solo di quell’ acqua” (Ibid. XV,30). Anche i discepoli di Emmaus vivono di fronte a Gesù la stessa esperienza. È ancora il Signore che fa “ardere il loro cuore” ai due mentre camminavano “col volto triste”.(crf. Lc 24,13-35). Pur senza riconoscere Gesù risorto, durante il tragitto compiuto insieme a lui, essi si sentivano il cuore “ardere nel petto”, riprendere vita, tanto che, arrivati a casa, “insistettero” affinché egli restasse con loro. “Resta con noi, Signore”: è l’espressione del desiderio che palpita nel cuore di ogni essere umano. Questo desiderio di “cose grandi” deve trasformarsi in preghiera. I Padri sostenevano che pregare non è altro che cambiarsi in desiderio struggente del Signore. In un bellissimo testo Sant’ Agostino definisce la preghiera come espressione del desiderio e afferma che Dio risponde allargando verso di Lui il nostro cuore: “Dio […] suscitando in noi il desiderio, estende il nostro animo; ed estendendo il nostro animo, lo rende capace di accoglierlo” (Commento alla Prima Lettera di Giovanni, IV,6).

 

Da parte nostra dobbiamo purificare i nostri desideri e le nostre speranze per poter accogliere la dolcezza di Dio. “Questa – continua Sant’ Agostino – è la nostra vita: esercitarsi nel desiderio” (Ibid.). Pregare davanti a Dio è un cammino, una scala: è un processo di purificazione dei nostri pensieri, dei nostri desideri. A Dio possiamo chiedere tutto. Tutto ciò che è buono. La bontà e la potenza di Dio non conoscono un limite tra cose grandi e piccole, tra cose materiali e spirituali, tra cose terrene e celesti. Nel dialogo con Lui, portando tutta la nostra vita davanti al suoi occhi, impariamo a desiderare le cose buone, a desiderare, in fondo, Dio stesso. Si narra che, in uno dei suoi momenti di preghiera, San Tommaso d’Aquino sentì il Signore Crocifisso digli: “Hai scritto bene di me Tommaso; che cosa desideri?”. “Nient’altro che Te”, fu la risposta del Santo dottore. “Nient’altro che Te”. Imparare a pregare è imparare a desiderare e, così, imparare a vivere.

A cinque anni dalla scomparsa di Mons. Luigi Giussani, il Sommo Pontefice si unisce spiritualmente agli aderenti al Movimento di Comunione e Liberazione. Come ebbe modo di ricordare durante l’udienza in Piazza San Pietro il 24 marzo 2007, “don Giussani si impegnò […] a ridestare nei giovani l’amore verso Cristo, “Via, Verità e Vita”, ripetendo che solo Lui è la strada verso la realizzazione dei desideri più profondi del cuore dell’uomo”.

Nell’affidare ai partecipanti al Meeting queste riflessioni, auspicando che siano d’aiuto per riconoscere, incontrare e amare sempre di più il Signore e testimoniare nel nostro tempo che le “cose grandi” a cui anela il cuore umano si trovano in Dio, Sua Santità Benedetto XVI assicura la Sua preghiera e ben volentieri invia a Vostra Eccellenza, ai responsabili ed organizzatori e a tutti i presenti la Benedizione Apostolica. Unisco cordialmente anche il mio augurio e mi valgo della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio.

 

Dell’ Eccellenza Reverendissima

Dev.mo nel Signore

Tarcisio Card. Bertone

Segretario di Stato