L’impulso che muove il nostro cuore a desiderare grandi cose si manifesta in molte modalità: tra esse trovano posto anche la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica. Prima ancora di essere oggetto di analisi filosofica e sociologica, queste due attività – che sono sempre più fortemente interconnesse, benché distinte – sono espressioni di una tensione tutta umana a rapportarsi alla realtà cercando di comprendere il comportamento dei fenomeni naturali e di utilizzarne i processi e le risorse per rispondere ai bisogni dei singoli e della collettività.



Una tensione che porta gli scienziati a confrontarsi con domande sempre più impegnative e ad applicare la ragione nel modo migliore per tentare delle risposte, raggiungendo spesso grandi risultati. Ma è una tensione che deve anche fare i conti con i limiti, interni ed esterni: limiti del soggetto che conosce, la cui personalità, storia e aspirazioni hanno un ruolo determinante nell’impresa conoscitiva; e limiti dell’oggetto conosciuto o progettato, che non è adattabile facilmente ai modelli teorici pur rigorosi e che non si lascia manipolare senza fissare le condizioni.



Di questa dinamica, tra grandezza dei risultati ed evidenza della non autosufficienza, saranno testimoni i protagonisti degli eventi scientifici al Meeting. A cominciare da quelli proposti dalla associazione Euresis, che da anni collabora con la manifestazione riminese nella realizzazione di mostre scientifiche e nell’organizzazione di incontri. Come quello di martedì, nel quale che si confronteranno il matematico di Princeton Edward Nelson e il linguista Andrea Carlo Moro, coordinati dall’astrofisico Marco Bersanelli. Una terna ben configurata per affrontare il tema “Quale bene dalla scienza?”.



Abbiamo infatti una disciplina tutta speciale quale è la matematica, che è insieme speculazione astratta, strumento per altre scienze, linguaggio per parlare della realtà. Poi la linguistica, che applica il rigore dell’approccio scientifico a un’esperienza comune a tutti gli uomini quale è il linguaggio, per sconfinare nei territori della comunicazione, della psicologia e delle neuroscienze.

Infine l’astrofisica, dove i più arditi modelli teorici vengono testati da esperimenti complessi, nello spazio, sulla terra e sotto terra, per sviluppare i quali viene messo in campo un arsenale strumentale a un tempo esito e fonte di innovazioni tecnologiche. Sono tanti gli interrogativi che si annodano attorno a quel titolo: alcuni resi più drammatici dal contesto economico attuale che rischio di portare molti Paesi a valutare, e quindi a finanziare, la ricerca solo in base a criteri di immediata e miope utilità.

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Questo livello del problema esalta ancor più l’interesse per la mostra, curata sempre da Euresis, “Da uno a infinito. Al cuore della matematica”, che verrà presentata martedì ancora da Nelson insieme a due dei principali curatori: Raffaella Manara e Marco Bramanti. A loro l’arduo compito di sfatare il pregiudizio che vede la matematica come estranea alla profondità del desiderio dell’uomo: mostrandone la capacità di esprimere armonia e bellezza; segnalando la stupefacente corrispondenza tra le strutture matematiche frutto del pensiero umano e la vastità dei fenomeni naturali che la matematica è in grado si spiegare; indicando quindi la matematica come paradigma della dinamica della conoscenza che consente all’io di dialogare col tu della realtà scoprendo continuamente tracce di verità.

 

La dialettica io-tu entra ai nostri giorni proprio nel vivo della scena scientifica attraverso le discipline di punta come le neuroscienze. I neuroscienziati, che indagano le interazioni tra mente e cervello alla ricerca dei meccanismi che consentono all’io di esprimersi e di manifestarsi, si trovano oggi davanti a tante incognite, ma anche a risultati inaspettati. Come quello scoperto negli anni Novanta da Giacomo Rizzolatti che sarà protagonista con Giancarlo Cesana dell’incontro di sabato mattina “Io e tu: un binomio inscindibile”. Rizzolatti è celebre per aver portato alla ribalta il fenomeno dei neuroni specchio, un sistema individuato dapprima nelle scimmie poi anche negli uomini (con importanti differenze): si tratta di neuroni che si attivano sia quando compiamo un’azione, sia quando osserviamo la stessa azione compiuta da un altro.

 

I neuroni specchio rivelano l’insopprimibile esigenza, incisa fin nel nostro substrato biologico, di essere sociali e cooperativi, e la possibilità di comprendere in presa diretta quello che fanno gli altri, di imitarli, di condividere emozioni. Senza peraltro spingerci verso più sofisticate forme di riduzionismo etico neuronale, come quello di chi pretende di aver scoperto una inesorabile determinazione biologica delle nostre facoltà etiche e morali.

 

Qui si vede come il percorso del Meeting attraverso le scienze parte e torna continuamente all’uomo. Rendendo acuto e decisivo l’interrogativo che fa da titolo al libro presentato lunedì sera da Mons. Luigi Negri e dall’on. Alfredo Mantovano “Quale scienza per quale uomo? La sfida della biopolitica”. E indicando nella passione per l’uomo la molla che sostiene l’azione di molti ricercatori, specie nelle scienze biomediche: come testimonieranno domani mattina Maria Teresa Landi, Senior Investigator al prestigioso National Cancer Institute dell’NIH a Bethesda (Maryland), parlando dei suoi studi epidemiologici sui tumori, e venerdì Mauro Ferrari, dell’Health Science Center di Houston (Texas), e Marco Pierotti, Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano dei Tumori di Milano, che descriveranno le meraviglie delle nanotecnologie applicate ai trattamenti oncologici.

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