Eminenza Reverendissima, signor cardinale Peter Erdö, stimati partecipanti e organizzatori di questo forum cristiano europeo, carissimi fratelli e sorelle,
Quest’anno il Signore ci ha riuniti qui insieme a Rimini, affinché il nostro sguardo interiore possa scrutare nel profondo dei nostri cuori. Non nei cuori di quanti sono vissuti prima di noi, o di coloro che si trovano accanto a noi… No, la sacra verità l’uomo è in grado di trovarla solo nel proprio cuore.
Questa verità schiude a ciascuno il mistero futuro: che cosa avverrà del mondo, dell’Europa, della mia patria e, infine, di me in prima persona? E in questo caso non si tratta semplicemente di forme che possono assumere le sventure o, al contrario, la prosperità. Nella profondità del cuore tutti gli interrogativi sono portati fino all’estremo, e il futuro viene determinato in forma categorica: si tratta della salvezza o della rovina, della morte.
Coscienza come seme della salvezza
Secondo la parola del Signore nostro Gesù Cristo, proprio dal cuore attraverso la bocca esce tutto ciò che contamina l’uomo: pensieri malvagi, menzogne e parole cattive (cfr. Mt 15,18-19). Ma nel contempo il cuore dell’uomo è anche l’organo della sua comunione con il Creatore nel linguaggio della coscienza.
Lo stesso «alito vitale», che Dio «soffia»nella persona umana rendendola un’«anima vivente» (Gen 2,7), è la coscienza, la nostra conoscenza ontologica della legge divina della vita. Non è la «legge morale interiore» che colmava di sacro tremore l’anima di Emmanuel Kant. La coscienza è qualcosa di molto più profondo, una caratteristica della natura umana che non è suscettibile di indagine.
Una persona che tenda alla luce può esserne maturata e accresciuta fino alle vette della santità, mentre un’altra persona, che si lasci andare sotto il peso di vizi e passioni, può soffocare la propria coscienza e disinteressarsi di ogni legge morale. Ma la coscienza è immortale, come l’anima: in un battibaleno può accendersi nel cuore del peccatore più indurito, e condurlo in un istante a un tale vertice di pentimento, che magari un giusto raggiunge a fatica nel corso di tutta la vita…
Il cuore come campo di battaglia
Sulla metafisica del cuore umano sono stati scritti volumi e volumi di opere teologiche e filosofiche; nei libri della Bibbia è Dio stesso a parlare dei suoi misteri, e l’uomo vi medita. E anche noi ci siamo riuniti qui, ora, per riflettere sul contenuto dei nostri cuori.
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Io vedo un significato profondo e molto simbolico nel fatto che i temi centrali del Meeting di Rimini siano stati formulati sotto l’influsso del genio creativo dello scrittore russo Fëdor Michajlovic Dostoevskij. E più precisamente, sotto l’influsso delle rivelazioni fondamentali della sua coscienza, della sua fede cristiana e della sua natura ortodossa.
Non dubito che tutti voi conosciate bene il pensiero di Dostoevskij sul cuore come campo di battaglia… Il mondo ortodosso russo e gli ambienti del pensiero amano molto questa affermazione dello scrittore. Ma io mi permetto di ricordare il contesto in cui, nel romanzo I fratelli Karamazov, nasce questo aforisma, posto dall’autore sulle labbra di uno dei personaggi centrali: «La bellezza è una cosa terribile, spaventosa! […] Qui le rive divergono, qui tutte le contraddizioni vivono insieme […]. Ciò che alla mente può apparire ignominia, al cuore sembra pura bellezza […]. Ciò che fa paura è che la bellezza non sia soltanto spaventosa, ma anche misteriosa. Qui il diavolo combatte con Dio, e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo» (Parte 1, Libro 3).
Qui il protagonista del racconto osserva con orrore che la bellezza è un concetto indefinibile, e che ciò che per uno è bellissimo, per l’altro può essere rivoltante. E viceversa. E non stiamo affatto parlando di categorie estetiche, bensì morali, e oggetto del discorso è la bellezza dell’essere umano.
Se cerchiamo di estendere questo pensiero alla nostra vita quotidiana e agli avvenimenti del mondo, vedremo come sia perfetta e universale la formula di Dostoevskij sul cuore dell’uomo come campo di battaglia fra il diavolo e Dio. Nelle contraddizioni familiari e nei conflitti internazionali, nella lotta tra le forze che si sforzano di mantenere l’ordine e quanti infrangono le norme della convivenza civile, nei contrasti etnici e nazionali, nei processi di formazione e sviluppo dei sistemi democratici in Europa e nel mondo, noi vediamo che ovunque, come dice Dostoevskij, le «rive divergono» e «tutte le contraddizioni vivono insieme».
Restare con Cristo
Mi sembra che Dostoevskij sia uno degli scrittori più amati e noti del mondo, proprio perché attraverso ogni suo soggetto e per bocca di ogni suo personaggio, egli parla ai lettori della coscienza. In tutta la vita, e non teoricamente bensì nella pratica quotidiana ha vissuto intensamente le tre leggi fondamentali della logica dialettica.
Proprio per questo, come nessun altro nella storia della letteratura universale ha potuto chiarire nella lingua del quotidiano: in primo luogo, che cosa siano l’unità e la lotta degli oppostinell’anima dell’uomo; in secondo luogo, come cambi il destino umano a seconda del passaggio dai mutamenti qualitativi a quelli quantitativi nella sua anima; in terzo luogo, che significato per la formazione della persona possa avere il rifiuto e perché nelle sorti storiche degli individui e dei popoli spesso meno per meno dia più.
Ma in questo caso, abbiamo il diritto di chiederci dove lui stessoabbia trovato il criterio autentico di valutazione della bellezza e della deformità della vita umana. In chi ha visto l’ideale perfetto, seguendo il quale il mondo può risorgere? In che cosa, infine, consiste quella bellezza che salverà il mondo, come credeva fermamente Dostoevskij?
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Intorno al 20 febbraio 1854, quando aveva appena finito di scontare la condanna ai lavori forzati, Dostoevskij scrive in una lettera il suo più prezioso riconoscimento: «Mi sono forgiato un simbolo di fede, per me chiaro e sacro. Questo simbolo è semplicissimo, eccolo qui: credere che non vi sia nulla di più bello, profondo, simpatico, ragionevole, solido e perfetto di Cristo, e non solo non esiste, ma… non può esistere. A tal punto, che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità, ed effettivamente fosse così, cioè la verità fosse fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità».
Coscienza come filo conduttore della storia
Cari fratelli e sorelle, noi stiamo parlando di coscienza, e quindi dobbiamo essere onesti gli uni nei confronti degli altri, e insieme di fronte al mondo circostante. La storia dei cristiani è una storia di uomini, è anche la nostra storia, con i nostri slanci di bene e cadute, con le nostre lacrime, sudore e sangue, con le nostre contraddizioni e paradossi. Ahimè, purtroppo la nostra coscienza cristiana testimonia a volte contro di noi, poiché non esiste uomo che non abbia peccato.
Così pure, anche la Chiesa in Occidente, e la Chiesa in Oriente attestano una propria verità, nella loro disputa storica. Delle nostre falsità interiori noi preferiamo parlare sottovoce e in una cerchia ristretta. L’atteggiamento diplomatico che cattolici e ortodossi assumono tra loro non di rado serve semplicemente a sottacere contraddizioni che gridano al Cielo chiedendo una soluzione, ma non trovano, a causa di questo, soluzione sulla terra.
Proprio per questo la Persona del Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, Seconda Persona della Santa Trinità è l’ideale indiscutibile, il criterio perfetto, la bellezza incorruttibile che è al di sopra di tutti, in tutto e per tutti.
In Cristo Salvatore non c’è divisione interiore, l’integrità della Sua Persona è perfetta, e proprio per questo Lui, e Lui solo è l’unico Figlio dell’Uomo, che a pieno diritto e a ragione ha detto di Sé: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
L’eterno interrogativo della possibilità di credere
Si potrebbe parlare a lungo e in maniera convincente, di come e perché ogni cristiano debba aspirare a conformarsi al Figlio di Dio e cercare, come dice san Paolo, di «spogliarsi del vecchio uomo, che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici» (Ef 4,22). E ogni parola di questa esortazione sarebbe pura verità. Ma esiste una circostanza, che può vanificare tutti gli sforzi di chi pronuncia queste parole. E cioè, egli potrebbe sentirsi ribattere: «Medico, cura te stesso!».
Ho l’ardire di supporre che l’assenza di un esempio personale di vita nella fede, la carenza di esperienza personale di una cordiale sequela dei precetti evangelici non costituisce soltanto una profonda tragedia personale per il cristiano, ma diventa anche il mezzo più distruttivo nella battaglia ingaggiata dall’inferno contro la Chiesa terrena.
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A mio avviso, proprio su questa contraddizione si fonda il problema formulato da Dostoevskij nei taccuini del romanzo I demoni, in relazione alla figura di Stavrogin: «La fede si riduce a questo problema angoscioso: un colto, un europeo del nostro tempo può credere, credere proprio alla divinità del figlio di Dio Gesù Cristo?».
Ridurre questo interrogativo a una correlazione dialettica tra fede e sapere, tra fede cristiana e cultura laica significherebbe sminuire notevolmente il problema. Qui si sta parlando del pensiero dell’uomo europeo, dell’intima coscienza religiosa degli abitanti del Vecchio Continente. È interessante notare che Dostoevskij pone questo interrogativo all’inizio degli anni Settanta dal XIX secolo, ma esso si già maturato in precedenza, perlomeno nei due secoli precedenti, il XVII e il XVIII.
E ora, alla fine del primo decennio del XXI secolo, lo stiamo rimettendo di nuovo all’ordine del giorno. In tutto questo tempo l’Europa è completamente cambiata, l’uomo europeo è cambiato fino ad essere irriconoscibile… eppure l’interrogativo è sempre lo stesso. Perché?
Perché i dubbi sono inscindibili dalla fede. Ma superare i dubbi e radicarsi nella fede è possibile soltanto attraverso il lavoro di una coscienza viva, che non taccia, ma bruci la menzogna che insidia il cuore e smascheri il peccato che assedia l’anima. Se si mette a tacere la coscienza (e lo si può fare, i mezzi sono tanti!), di conseguenza, nasce il desiderio di sbarazzarsi dalla fede come da un ostacolo che impedisce di «corrompersi seguendo le passioni ingannatrici».
Proprio questo avviene in coloro che cercano di opporre la cosiddetta «civiltà» ai valori cristiani tradizionali. Del resto, la concezione contemporanea di civiltà politically correct comprende inaspettatamente anche costumi realmente barbari e basse inclinazioni, a considerarli dal punto di vista del buon senso e di un’elementare onestà umana.
«Credo, Signore! Vieni in aiuto alla mia incredulità»
La situazione dell’odierna coscienza europea, a mio avviso, trova un punto di paragone nella storia della guarigione del ragazzo sordomuto indemoniato, operata dal Signore Gesù Cristo, e che ci viene narrata dall’apostolo ed evangelista Marco nel cap. 9 (Mc 9,14;29). Gli scribi e i discepoli di Cristo discutevano sul perché nessuno di essi era in grado di cacciare lo spirito maligno che dall’infanzia tormentava il ragazzo, gettandolo a terra, facendolo schiumare, digrignare i denti e irrigidirsi, il diavolo che lo gettava nel fuoco o nell’acqua per farlo perire.
Parlando con il padre, che lo prega di guarire il fanciullo, Gesù gli dice: «Ogni cosa è possibile per chi crede». E l’altro gli risponde tra le lacrime: «Credo, Signore! Vieni in aiuto alla mia incredulità». Gesù sgrida lo spirito impuro, e quello lascia il fanciullo. E ai Suoi discepoli il Signore spiega così la loro incapacità di riportare la vittoria sullo spirito. «Questa specie di spiriti – dice – non si può far uscire in altro modo che con la preghiera e il digiuno».
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In questo momento non mi propongo lo scopo di fare un’apologia del digiuno e della preghiera, tanto più che per la Chiesa ortodossa russa è una questione fuor di dubbio. Ora mi sembra importante concentrare l’attenzione sulle parole-chiave di questa storia: «Ogni cosa è possibile per chi crede», e: «Credo, Signore! Vieni in aiuto alla mia incredulità».
Questo appello di Dio all’uomo e questa risposta dell’uomo a Dio rappresentano il modello universale di rapporto con Dio. Tenendo conto di tutto quello che abbiamo detto ora, possiamo vedere in questo modello la possibilità di superare, con l’aiuto di Dio, il dubbio, questo eterno compagno di una fede ardente e di una coscienza acuta.
L’uomo civile di oggi è un essere molto ingenuo. La sua infantile sicurezza di sé nella perfezione del sapere acquisito, la sua credulità adolescenziale nei confronti degli stereotipi di massa di pensiero e di comportamento sarebbero innocui se di essi non si avvalesse lo spirito impuro, se non li incoraggiasse nel desiderio di far perire l’uomo.
E il problema non è neppure se l’uomo civile si renda conto di tutto ciò: verrà il momento in cui capirà tutto e subito. Per noi, cristiani d’Europa, è importante che almeno qualcuno di noi sia in grado di implorare Dio per la guarigione di questo fanciullo malato.
È importante che noi abbiamo forze e coraggio a sufficienza per credere e domandare al Signore! Domandare che aiuti la nostra incredulità nella possibilità che il bene ha di trionfare anche nel peccatore più incallito, che aiuti il nostro dubbio nella giustizia del destino che Dio ci ha preparato, aiuti la nostra coscienza che cova sotto le braci a divampare con ardore e a sciogliere la nostra tiepidezza, timidezza e ambiguità.
E infine, a domandare che il Signore aiuti la nostra fede nel fatto che tutto è possibile per chi crede! Che non a parole, ma nei fatti noi sappiamo confermare l’asserzione di Dante Alighieri, secondo cui i lineamenti del volto umano sono comunque in grado di sintetizzarsi nelle lettere di due parole: Homo Dei – Uomo di Dio.
E allora saremo in grado con cognizione di spiegare al mondo che torna alla ragione, il significato delle parole rivolte a Dio da sant’Agostino: «Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non trova riposo in Te».
Per questo, consentitemi alla fine di augurare a tutti noi e a ciascuno di noi, che nelle nostre parole, opere e pensieri quotidiani prevalga sempre ciò, di cui parla il santo apostolo Pietro, e cioè «quello che è intimo e nascosto nel cuore, la purezza incorruttibile di uno spirito dolce e pacifico, che agli occhi di Dio è di gran valore» (1 Pt 3,4). Amen