Annie Devlin, studentessa di letteratura e curatrice della mostra, e Davide Rondoni, hanno presentato la mostra dedicata alla scrittrice americana Flannery O’Connor. “La riflessione sulla letteratura è strettamente legata alla riflessione sulla vita, con tutte le sue contraddizioni, e Flannery O’Connor l’ha sempre avuto presente”, ha detto Davide Rondoni. Per Annie Devlin, la passione per la O’Connor nasce dal fascino per il “che la sua stessa vita era”.



Da una parte una passione improvvisa e smisurata, dall’altra l’opportunità, insieme ad alcuni amici, di realizzare una mostra al Meeting di Rimini. “Certamente non avevo già un’idea prestabilita per fare una grande mostra” dice Annie, “ma Flannery ha reso tutto più semplice: lei era vera, divertente, il modo in cui guardava la realtà stava cambiando il mio modo di guardare la realtà. Non potevo lasciarmi sfuggire un’opportunità del genere”. Dice Annie Devlin: “La sua scrittura nasce proprio all’interno dei limiti in cui lei visse, dal fatto che c’è andata a fondo e li ha vissuti, invece di combatterli”.



Un lavoro, quello della mostra, non facile, “eppure ciò che è diventato chiarissimo per me è che c’è solo una cosa da fare nella mia vita: arrestarmi quando il bello emerge ai miei occhi e seguirlo, di incollarmi ad esso, perché è proprio questa bellezza che mi salverà, che sta salvandomi adesso”. Complesso e articolato l’intervento di Stephen Lewis, docente di inglese presso la Franciscan University di Steubenville.

Lewis ha portato molti celebri esempi tra i racconti della O’Connor, del rapporto tra cuore dell’uomo e mistero, tra cui il fondamentale “Il negro artificiale”, a proposito dell’accusa fatta all’autrice sul finale, dove ‘dice piuttosto che mostrare’. Ma la scrittrice aveva già fatto intervenire la grazia, dimostrando che il nichilismo non è l’ultima parola sulla vita e quindi poteva anche violare questa che appariva all’epoca come una rigida regola letteraria. L’ultimo intervento è di Michel Fitzgerald, sceneggiatore e amico della O’Connor.



Racconta un episodio di cui è stato testimone e che riguarda John Houston: una donna che per oltre un anno gli aveva continuamente inviato lo stesso misterioso regalo, ad un tratto si rivela, giusto per dire al regista che tutto aveva avuto origine da un sogno, coincidente con una difficile guarigione del regista di cui nessuno sapeva niente. La donna scomparve e Houston nemmeno la ringraziò. Sembra un racconto di Flannery.