John Waters è un uomo in viaggio verso il proprio destino. Forse è proprio questo che affascina più di lui. «Esito sempre a presentarmi come uno che è arrivato a destinazione. E sono contento che sia così. Non sono disposto a cancellare il mio passato. Penso che se Cristo in persona fosse qui in fondo alla sala non correrei subito ad abbracciarlo, ma esiterei». Se il primo dei due libri tradotti in italiano, “Lapsed Agnostic” era un percorso personale, “Soggetti smarriti” è un «viaggio laterale sulla cultura». Sono due gli aspetti del libro che Waters individua: il primo parte da un’intervista a una collega in fin di vita che si rende conto che «tutte le sicurezze che credeva di avere» erano crollate. «Anch’io avrei potuto dire le stesse cose se non avessi incontrato i miei nuovi amici di Comunione e Liberazione».



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 Il secondo aspetto riguarda il messaggio cristiano della Chiesa irlandese, ridotto a moralismo: «È come se dicesse: non c’è speranza, ma Cristo è una persona buona. L’incontro con le persone di Cl e con don Giussani in particolare danno un senso a ciò che sembrava non averlo: «Nessuno mi aveva mai detto che Cristo è presente, ora». Lo definisce «un libro schizofrenico», perché cerca di mettere insieme i due aspetti che ci costituiscono: il cinismo della cultura contemporanea e l’umanità della compagnia di Cristo. «È come se avessimo da una parte un orecchio cinico che fa scivolare via le cose, dall’altra un orecchio umano che deve stare con degli amici per svilupparsi».



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