Oggi per la prima volta il Meeting sarà alle Nazioni Unite, presso l’istituzione mondiale che per eccellenza ha lo scopo di favorire le relazioni tra i popoli. In questa sede prestigiosa, il Meeting arriva con tutta la sua storia, la storia di un’amicizia che si è allargata al mondo. A New York, infatti, con noi ci saranno due amici, due storie diverse, ma che proprio a Rimini si sono incontrate: Joseph Weiler e Wael Farouq. Il primo giurista ebreo, il secondo docente musulmano di lingua araba. Due uomini, due testimoni di culture diverse, entrambi diventati compagni di viaggio del Meeting. Weiler con la sua presenza fissa negli ultimi anni, con il contributo culturale che a ogni edizione ha portato, con l’umanità e uno slancio che lo ha convinto a trascinare a Rimini amici e colleghi. L’altro, Wael Farouq, colpito dal Meeting tanto da portare a Rimini anche lui i suoi amici, fino a organizzare un “fratello” del Meeting al Cairo, diventando poi lui stesso tra i protagonisti della rivoluzione di piazza Tahrir e ultimamente organizzando il primo Congresso delle forze liberali egiziane, un testimone dell’impegno per il proprio Paese, mosso dall’esperienza di libertà vissuta durante i giorni del Meeting Cairo.
All’Onu arriva un’esperienza di libertà, la cifra di un luogo in cui è possibile confrontarsi, guardare con serietà al prossimo imparando di più su noi stessi e sugli altri.
Disse Giovanni Paolo II all’assemblea dell’Onu, nel discorso per i 50 anni delle Nazioni Unite: “Siamo testimoni di una straordinaria e globale accelerazione di quella ricerca di libertà che è una delle grandi dinamiche della storia dell’uomo. Questo fenomeno non è limitato a una singola parte del mondo, né è l’espressione di una sola cultura. Al contrario, in ogni angolo della Terra, uomini e donne, pur minacciati dalla violenza, hanno affrontato il rischio della libertà, chiedendo che fosse loro riconosciuto uno spazio nella vita sociale, politica ed economica a misura della loro dignità di persone libere. Questa universale ricerca di libertà è davvero una delle caratteristiche che contraddistinguono il nostro tempo”.
Parole profetiche se si ripensa agli ultimi fatti, parole che esprimono anche, in un certo senso, la missione del Meeting: un luogo di vera libertà per tutti, dove ognuno possa essere presente con la sua identità e guardare l’altro per quello che veramente è, al di là delle ideologie.



Un luogo in cui dare fiducia all’uomo, al suo desiderio e alle sue aspirazioni.
Spesso per definire il Meeting diciamo che “abbiamo investito sul cuore dell’uomo”.
“Non dobbiamo avere paura dell’uomo” ha detto Giovanni Paolo II proprio in occasione della Sua visita qui alle Nazioni Unite nel ‘95. E poco prima, in quel suo discorso, aveva invitato a “uno sforzo comune per costruire la civiltà dell’amore”, sottolineando che “l’anima della civiltà dell’amore è la cultura della libertà”. Ed era stato lo stesso Giovanni Paolo II a usare proprio al Meeting nel 1982, per la prima volta, le medesime parole: “Costruite la civiltà della verità e dell’amore”.
Non credo che queste consonanze, questi rimandi siano casuali.
Il Meeting è indubbiamente una piccola realtà, ma ci sentiamo anche noi descritti da questo compito di costruzione della civiltà dell’amore, proprio in quanto ci sentiamo definiti da quella fiducia nell’uomo, che non si identifica con l’irragionevole ottimismo di chi non si accorge della violenza, delle guerre, del male che c’è attorno a noi e dentro di noi. Perché è un fatto che nella vita quotidiana e anche in questi trent’anni di Meeting abbiamo visto tanti esempi di bellezza, di solidarietà, di grandezza, di speranza, di costruzione, di lavoro. E sono proprio questi esempi a documentare che il cuore dell’uomo è capace di desiderare il bene e il bello ed è altrettanto capace di spendere la vita per costruirlo.
Le storie di Weiler e di Farouq sono appunto la testimonianza di che cosa può accadere semplicemente dando fiducia all’uomo.

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