Una certezza gli italiani, cattolici e non, ce l’hanno: la crisi economica.

È vero. Ma mi concede uno slogan?.

Certo. Del resto dal raduno di Cl a Rimini ci si aspettano messaggi forti e chiari.

Il rischio è che questo diventi un “Paese per vecchi”.

E non è la scena di un film da Oscar… Quindi?

In Italia si sente ripetere tutto quello che si deve fare: tagli, riduzione del debito. Ma non si parla del motore dello sviluppo. E non si pensa alla grande risorsa che sono i giovani: una realtà da educare, non da escludere.



I giovani. Su loro punta l’attenzione Giorgio Vittadini, fondatore della Cdo e oggi presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. E il ruolo dei giovani sarà «uno dei temi centrali del 32° Meeeting di Rimini, dal titolo “E l’esistenza diventa un’immensa certezza”», che si aprirà domani con la visita del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «Ecco, il ruolo dei giovani. Tenendo conto dell’insegnamento della Storia».
La storia d’Italia, a cui è dedicata la mostra «150 anni di sussidiarietà»?



Quella Storia che parte dal basso. Dal contributo delle realtà popolari, cattoliche, socialiste, comuniste, liberali. L’Italia ha vissuto molti momenti di crisi, di cambiamento. E queste realtà popolari, mosse da spirito ideale, hanno sempre dato risultati inattesi. Purché…

Purchè?

Siano stimolate.

E i giovani, secondo lei, possono essere sensibili a questo messaggio?

Senza dubbio, se appunto stimolati. Guardi cosa sta accadendo alla Giornata mondiale della gioventù in Spagna: i giovani rispondono quando di fronte hanno un “uomo” come il Papa che li capisce, che dà loro una posizione ideale di fede.



Benedetto XVI ha parlato, al suo arrivo a Madrid, anche di responsabilità etica.

Vede i giovani chiedono proposte credibili, educative, mosse da ideali. Se di fronte hanno il nulla, il rischio è che perdano tempo in discoteca. Ma vuole un altro esempio?.

Prego.

In questo momento di crisi vedo molti più ragazzi che chiedono di andare all’estero, di fare stage. Mentre oggi non diamo loro la possibilità di mettersi alla prova.

Esempi educativi, a onore del vero, ce ne sono pochi. A partire, critica spesso ripetuta, dalla politica.

Si è scelto di far pagare la crisi a chi non è ancora entrato nel mondo del lavoro, della scuola, delle pensioni. È come se il mondo degli inclusi volesse tagliare fuori quello dei nuovi.

Una difesa dei privilegi?

Condivido l’editoriale sul Corriere del professor Galli Della Loggia quando dice che le democrazie occidentali tendono a difendere i gruppi, invece di dire “dividiamo la crisi”. Bisogna investire sul rinnovamento del sistema educativo e non tutelare chi urla di più.

Ecco, la manovra. Cosa ne pensa?

Sarò poco originale ma sono d’accordo nel dire che dovremmo tagliare di più sulle Province, sulle spese inutili dello Stato. Ma il problema è lo sviluppo. E cosa c’è di nuovo all’orizzonte? Poco. Il Meeting vuole dare questo messaggio: si deve educare e costruire. La crisi deve essere affrontata partendo dal basso, secondo il principio di sussidiarietà, con incentivi differenziati. E distinguendo bene tra sviluppo, solidarietà e rendita.

Una stoccata a chi guida la barca-Paese?

Nel suo complesso, al di là degli schieramenti.

Quindi anche all’interguppo della sussidiarietà. Ma come ha operato, secondo lei, in Parlamento?

Dal punto di vista culturale molto bene, sotto traccia.

Ok. Ma sotto il profilo politico?

Ha inciso poco, purtroppo, quando si è trattato di arrivare a condizionare l’azione parlamentare: sono prevalse le logiche partitiche. Nonostante gli appelli del Capo dello Stato. Ci possono anche essere contrapposizioni molto forti. Poi però serve il senso del bene comune quando si toccano temi come sviluppo, sussidiarietà. La visita di Napolitano si lega non solo alla mostra ma anche all’invito a collaborare su questa dimensione politica.

Ma il Meeting riuscirà a dare un segnale di ottimismo?

Io sono ottimista, se si riuscirà però a sviluppare questo spirito dal basso. L’Italia ha una grande vitalità sociale ed economica rispetto ad altri Paesi: se crolla la City crolla l’Inghilterra, se crollano poche grandi imprese crolla la Francia. Quindi non rassegniamoci a una Borsa che perde il 6 per cento: diamo spazio ai giovani, e a chi costruisce durante la crisi. E sono tanti. Solo così non saremo un Paese di serie B. Né di vecchi.

 

Proponiamo l’intervista a Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, che sarà pubblicata da Il Corriere della Sera di oggi, sabato 20 agosto 2011. 

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