È un John Elkann in parte inedito quello che ieri ha voluto incontrare a porte chiuse alcuni studenti universitari che lavorano come volontari al Meeting di Rimini, dove oggi parteciperà all’incontro “Quali certezze in un mondo incerto?”.

Novanta minuti in cui il Presidente di Fiat si è voluto prestare a rispondere alle tante domande, tra cui quella di un figlio di un dipendente del Lingotto, cresciuto a “pane e Fiat”, che gli ha chiesto di raccontargli il valore che ha per lui la famiglia. «La mia famiglia – ha raccontato il discendente dell’Avvocato Agnelli – non mi ha certamente condizionato nelle mie scelte personali, anzi mi ha permesso di seguire e approfondire i miei interessi, trasmettendomi anche molti valori, come quelli del lavoro e della responsabilità. Ha poi avuto fiducia in me dandomi il compito di rappresentarla in azienda. Credo che sia importante quello che è stata capace di darmi e vorrei trasmetterlo ai miei due figli».



Ma il Presidente di Fiat ha affrontato anche i temi più caldi legati alle vicende della sua azienda: «Sicuramente Fiat farà automobili, oggi il gruppo ne produce circa 4,5 milioni, con modelli che vanno dalla 500 alla Freemont, fino alle Ferrari, e che vende in quasi tutti i mercati del mondo. Se si faranno ancora automobili in Italia questo dipenderà molto dalla capacità del sistema Paese di creare le condizioni perché questo possa essere fatto».



A chi gli chiedeva se creda in un futuro per l’Italia, Elkann ha risposto: «Noi tutti abbiamo la responsabilità di creare un futuro per l’Italia, che dipenderà da quello che vogliamo e da quello che siamo disposti a fare per il nostro Paese. Non ho assolutamente una visione pessimista. Anche se bisogna essere realisti: ci sono certe cose che l’Italia può fare bene e altre no. L’importante è che, soprattutto chi è più giovane, abbia le idee molto chiare al riguardo».

A questo proposito ha poi spiegato quale secondo lui è stato l’invito più importante che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rivolto al Paese dal Meeting di Rimini domenica scorsa: «Bisogna guardare la realtà: l’invito di Napolitano è stato quello di non mentire, di non cercare di vedere la realtà in maniera diversa da quella che è. Credo che questa sia la cosa più importante».



Coi giovani universitari Elkann ha ripercorso poi le due grandi crisi della Fiat: «La prima è quella che ci siamo creati da soli nel 2002. Il problema allora stava nelle persone che hanno avuto la responsabilità di guidarla e che evidentemente non sono state all’altezza del compito affidatogli: è stato necessario cambiarle per uscire dalle difficoltà». Discorso diverso per quel che riguarda il 2008, una crisi dovuta al contesto esterno «che ci ha fatto capire chiaramente che Fiat era troppo piccola per produrre automobili. La domanda diminuiva e la richiesta degli investimenti necessari a fare nuovi modelli faceva sì che dovessimo aumentare di dimensioni. Questo ha portato a cercare operazioni con altri costruttori, finché non abbiamo avuto l’opportunità di Chrysler».

Un’altra lezione della crisi è stata poi quella di capire che «oggi per fare automobili è importante essere presenti in tutti i mercati: in questo senso occorre aumentare la propria presenza in paesi emergenti come Brasile, Cina, India. La settimana prossima sarà operativa la nuova organizzazione annunciata a luglio che servirà proprio ad affrontare queste nuove sfide». «La crescita della Fiat – ha detto ancora Elkann – è legata ad altri mercati più che a quello italiano. La crescita dell’Italia, invece, dipende da una serie di sforzi e iniziative che vanno compiuti per creare nuove idee, nuovi spazi economici, liberare energie e risorse e non c’è nessuna ragione per cui questo non si possa fare».

Sul Presidente americano Obama, Elkann ha detto: «Ha fatto una grossa scommessa nel salvare il settore auto in America e ha compiuto un grande atto di fiducia nei confronti di Fiat. La riconoscenza da parte nostra è forte, gli dobbiamo molto. E siamo anche orgogliosi del fatto che lavorando sodo siamo riusciti a ripagare la sua scelta».

Un ragazzo ha chiesto poi al Presidente Fiat se è possibile per un imprenditore togliersi di dosso l’etichetta che spesso gli viene affibbiata di “sfruttatore”. «L’imprenditore – ha risposto Elkann – svolge un’attività economica, dunque il suo obiettivo è conseguire risultati economici: non c’è niente di male in questo. Dopo di che i rapporti tra capitale e lavoro possono anche essere conflittuali, ma credo che si possa benissimo lavorare su queste conflittualità in maniera positiva e virtuosa. E credo che in questo la comunicazione svolga un compito importante, perché può fare sapere come stanno realmente le cose. La conflittualità si può inoltre “combattere” dandosi e perseguendo obiettivi comuni, magari con sistemi di remunerazione legati al loro raggiungimento. Molti dei discorsi che stiamo facendo per garantire che in Italia ci siano le condizioni per restare coi nostri investimenti riguardano propri questi temi».

Restando sull’attualità, un altro ragazzo gli ha chiesto come si possa affrontare una situazione economico-finanziaria come quella di oggi che desta preoccupazioni, senza dimenticare che, come ha sottolineato l’ultimo rapporto del Censis, in Italia sembra esserci una “crisi del desiderio”. «Se uno guarda alla nostra storia – ha risposto Elkann – può scoprire che abbiamo passato momenti economici peggiori di questo: anche se ciò non è rassicurante, almeno aiuta a capire meglio la situazione. Quel che preoccupa davvero è la mancanza di desiderio, la stanchezza. Credo che il bello di essere giovani sia la voglia di imparare, di migliorarsi, di avere una propensione al fare. Io sono assolutamente fiducioso sul futuro, anche se non ho nessuna ragione per pensare che non sarà difficile. Tuttavia, è utopico pensare di poter avere in mano tutti gli elementi per riuscire a far bene. Ed è molto più interessante vivere nel mondo reale che in un’utopia: questo mondo ci offre tantissime cose straordinarie».

È anche a partire da questa convinzione che Elkann è riuscito poi a spiegare con serenità il suo approdo definito “traumatico” ai vertici di Fiat: «Mi sono trovato da studente a essere coinvolto nelle nostre attività di famiglia. Dopo di che una serie di problemi legati a quello che era successo in Fiat ha fatto sì che le cose cominciassero ad andare male. Poi sono venuti a mancare mio nonno e mio prozio e mi sono ritrovato molto giovane a essere la persona della mia famiglia più vicina alle nostre attività. Indubbiamente ero interessato a lavorare in un’impresa, che fosse o meno di famiglia, ma poi hanno prevalso, nonostante le difficoltà, la voglia di raccogliere una sfida e un senso di responsabilità. Di fronte alle difficoltà meglio affrontarle che scappare: esse vanno vissute come ogni cosa che capita nella vita».

Un aiuto gli è certo arrivato dal fatto «di avere avuto vicino persone a cui poter chiedere in caso di bisogno: è stata una grande fortuna. Poter contare su chi ha già esperienza quando se ne ha poca è una cosa di grandissimo valore, sia dal punto di vista professionale che non. Sono riconoscente e continuo a esserlo verso molte persone».

Che ci sia un riferimento a Sergio Marchionne? Del loro rapporto Elkann ha detto: «Sono stato io a chiedergli di diventare Amministratore delegato di Fiat proprio la sera in cui è venuto a mancare mio prozio nel 2004. Da quel momento abbiamo vissuto fianco a fianco. Gli devo molto non solo per quello che ha realizzato, ma anche perché ho imparato molto da lui. In particolare, il suo atteggiamento nel guardare con fiducia al futuro qualsiasi cosa avvenga. E anche la sua capacità di resistenza e la volontà di trovare la via di uscita dai problemi. Tutto questo vedendolo all’opera».

C’è quindi chi gli ha chiesto che impressione ha avuto del Meeting di Rimini. «Indubbiamente positiva – ha risposto lui -: basta guardare i volti di chi è qui. Ho trovato interessante la mostra sui 150 anni di sussidiarietà». E perché ha accettato l’invito a partecipare? «Perché mi faceva piacere conoscere un mondo di cui ho sentito tanto parlare. Ero rimasto molto colpito dalla Piazza dei Mestieri di Torino e poi avevo partecipato alla Colletta alimentare. Inoltre, anche Sergio Marchionne mi ha parlato della bella esperienza che ha avuto l’anno scorso quando è stato vostro ospite».

Ai ragazzi non ha potuto poi che dare pareri e consigli sul passaggio dall’università al lavoro: «Quando uno entra nel mondo del lavoro deve anzitutto adattarsi all’ambiente, non può partire modificandolo». E poi: «La remunerazione non è il principale fattore motivazionale per il lavoro. Vi do un indicatore interessante: tre settimane fa sono stato in Brasile dove la criminalità sta diminuendo perché le persone preferiscono avere un lavoro sicuro, anche se guadagnano meno rispetto a un’attività illecita. Questo ci dice che la motivazione principale non è la sola remunerazione».

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