“Eppure ci manca sempre qualcosa/ la vita è meravigliosa/ eppure ci manca sempre qualcosa”: è con le parole di una delle sue più belle canzoni, La Bellezza, che Niccolò Fabi è stato invitato ieri sul palco del Meeting di Rimini per un concerto in cui non c’è stato niente di scontato. Non è stata scontata la scelta di Fabi di presentarsi sul palco con una dodici corde e accompagnato da una band dal suono solido e quasi psichedelico. Non era scontata l’attenzione con cui il pubblico ha ascoltato le storie del cantautore, tanto da smettere di battere le mani per ascoltare le parole delle sue canzoni, da La Promessa a Il Giardiniere, da È non è a Costruire, fino ai sui brani più celebri Capelli e Vento d’Estate.



Canzoni che raccontano una vita che cerca la meraviglia, che esprime domande più che inseguire risposte certe, e che chiede le cose più belle: “ma le più lunghe passeggiate/ e le più bianche nevicate e le parole che ti scrivo/ non so dove l’ho comprate/ di sicuro le ho cercate senza nessuna fretta/ perché l’argento sai si beve/ ma l’oro si aspetta” canta Niccolò Fabi in Il Negozio di Antiquariato, brano che ieri ha eseguito da solo sul palco duettando col pubblico in uno dei momenti più intimi ed emozionanti del concerto.



Se ieri, quando lo abbiamo intervistato, ci aveva detto di sperare di incontrare al Meeting persone disposte ad ascoltare le sue storie, l’impressione è che la sua fiducia sia stata ben riposta.

La bellezza è il titolo di una tua canzone: la tua idea di bellezza coincide con quella che porta avanti da trent’anni il Meeting di Rimini?

Sai, chi scrive e in qualche modo si avvicina all’arte, tratta di cose difficilmente “incastrabili” in una definizione precisa. Mi piace pensare all’arte e in piccolo alle mie canzoni come a qualcosa di aperto: sta al pubblico vederci un significato per la propria vita.



Che ruolo ha l’esperienza nella tua vita e nel tuo lavoro?

Penso che la curiosità sia la molla di tutto. Certo l’osservazione della realtà è un buon punto di partenza per raccontare una storia. Poi bisogna riuscire a comunicarla, farla arrivare agli altri e quindi a condividerla.

Cos’è per te la certezza?

La parola certezza non mi piace molto, la vedo come qualcosa di statico. Preferisco la ricerca, il dubbio, le domande. Cerco sempre di mettere davanti al mio percorso come dei piccoli ostacoli in modo che le mie sicurezze siano qualcosa di dinamico perché continuamente messe in discussione e verificate.

A che punto sei della tua ricerca?

A 43 anni dal primo vagito direi! Non guardo alla meta, perché il traguardo può diventare un’ossessione. La mia prospettiva di vita è quella del viaggiatore in cammino, che guarda con attenzione ciò che lo circonda.

Qual è il tuo rapporto col tempo, che è un tema ricorrente nelle tue canzoni?

Il tempo è una delle cose più preziose che abbiamo…viverlo o addirittura sprecarlo senza una consapevolezza è un vero peccato.

I tuoi testi sono sempre calati nella realtà…

Io trovo che siano semplicemente dei punti di vista, dei colori, uno sguardo sulla realtà. Dal mio punto di vista è una soluzione alla solitudine e ai suoi fantasmi: condividere la propria storia con altri fa nascere un senso di solidarietà e comunanza con altre persone, che risolve in parte quel senso di solitudine che ognuno si porta dentro.

Hai organizzato un concerto (Parole di Lulù) i cui proventi sono stati destinati a un ospedale del Cuamm-Medici per l’Africa in Angola e sei stato in Africa: cosa ti hanno lasciato queste esperienze?

L’Africa ti sfida, mette alla prova il tuo ego. Mai come in Africa ti senti “uno dei tanti”, allora ti metti da parte e vedi un popolo sofferente. E questo fatto mette in dubbio tutte le tue certezze su chi sia tu come individuo e quali siano i tuoi bisogni. È qualcosa che fa sicuramente bene. Per quanto riguarda la raccolta di fondi per l’ospedale, è stato un successo, il reparto pediatrico è stato inaugurato a gennaio.

Da cosa nasce la scelta di andare in tour con la band delle origini?

Questo inverno sono stato impegnato in un tour teatrale molto intenso, io solo sul palco con tutta una serie di strumenti: era tutto incentrato su di me, posso definirlo quasi uno spettacolo “esistenzialista”.
Con la stagione estiva volevo invece sottolineare l’aspetto collettivo, ludico e divertente del concerto. E mi è riuscito facile renderlo insieme ai componenti della mia vecchia band, che sono tutti amici.

Programmi per l’autunno?

Pausa. Io sono un grande fan della pausa. È fondamentale per dare valore a quello che viene dopo. Bisogna fermarsi e riflettere per far nascere nuove idee e ho capito che la fase di gestazione di qualcosa di nuovo è quella che preferisco del mio lavoro.
Inoltre dalla mia esperienza di performer ho imparato che è solo nella pausa che si trova il senso di salire di nuovo su un palco, altrimenti non mi sentirei a mio agio davanti al pubblico.

(Anna Pompa)

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