«Ad anni di distanza posso dire che il movimento è cambiato, e credo che questo sia il miglior complimento che si possa fare a Cl, perché è la prova che il suo corpo è vivo». Claudio Sardo, neo direttore de L’Unità, ha dialogato con ilsussidiario.net del Meeting di Rimini appena concluso.

Direttore, si è concluso sabato il Meeting di Rimini. Che cosa dice dell’edizione di quest’anno?



Al di là dei singoli appuntamenti, la grande lezione del Meeting è vedere in azione delle persone «vive» che fanno comunità. L’ideologia mercatista degli ultimi trent’anni ci ha abituati a pensare che ormai il mondo è fatto di soggetti sempre più isolati. Proprio per questo penso che qualunque persona di sinistra priva di preconcetti non possa che guardare con simpatia al Meeting di Cl. Vale anche per me.



Cosa pensa del discorso che il presidente Napolitano ha rivolto alla platea del Meeting e non solo?

Da osservatore esterno credo che sia stato di gran lunga l’evento politico più significativo di questo Meeting. Napolitano si pone continuamente  il problema della tenuta del tessuto solidale e coesivo della nazione. Altre volte ha usato espressioni simili in Parlamento riferendosi al ruolo dei cattolici e della chiesa italiana. La dimensione spirituale, l’apporto del sentimento religioso, è fondamentale per la stessa unità nazionale.

Lei ha seguito, da cronista, molte edizioni del Meeting. Negli ultimi anni la politica pare avere fatto un passo indietro: c’è ma non riempie la scena. Qual è la sua impressione?



Penso che come tutti i corpi vivi della società, il «popolo del Meeting», e la stessa Cl – che ne è l’anima ispiratrice – abbiano avuto negli anni una loro fase di crescita. C’è stata una trasformazione soggettiva, innegabile, del movimento. Il nostro collega dell’Unità (Onide Donati, Cl e la sua Compagnia navigano già nel dopo Berlusconi, 27 agosto, ndr) si è posto esattamente questo problema: quanto è cambiata Cl? Nel suo pezzo c’erano anche delle critiche, ma credo che questo sia il miglior complimento che si possa fare a Cl: ad anni di distanza uno trova che il movimento è cambiato.

Perché il «miglior complimento»?

Perché è la prova che il «corpo» è vivo. Io trovo che oggi Cl abbia verso la società e la Chiesa una visione più matura. Prima stava nella Chiesa e nella società come una monade in conflitto contro tutti i nemici esterni. Poi è cresciuta ed ha conosciuto una maggiore articolazione. Nella Chiesa ha assunto ruoli importanti, anche perché molte vocazioni sono nate proprio dentro Cl; la Chiesa stessa, da parte sua, ha dato ai movimenti un ruolo più centrale. Ora Cl mi sembra più «dentro» la società rispetto a prima. È una trasformazione che a mio modo di vedere non cancella però altri limiti.

Quali sono secondo lei?

C’è ancora un atteggiamento che chiamerei difensivo. Ad esempio il tema della sussidiarietà è stato rilanciato proprio da Cl, è una sua battaglia culturale che oggi è divenuta patrimonio di una cultura abbastanza condivisa. Il limite a mio avviso sta nel fatto che Cl dovrebbe non solo ribadire lo spazio di autonomia che spetta al corpo sociale e alle sue iniziative, ma concorrere a ridefinire positivamente un’idea di pubblico che integri Stato, realtà profit e non profit.

Non sono mancate critiche severe: Vittadini ha detto che l’Italia rischia di diventare un «paese per vecchi». La scuola chiude l’accesso ai giovani, manca una tassazione selettiva, non ci sono più partiti veri, con un radicamento popolare.

Sulla questione dei partiti sono interamente d’accordo: senza partiti popolari, cioè partecipati, non ci può essere democrazia. La destrutturazione del sistema politico e la campagna antipolitica sono l’altra faccia della medaglia della vittoria liberista e individualista che ha dominato la secolarizzazione dell’occidente.

E sui giovani?

I giovani sono assolutamente la priorità: bisogna tornare ad investire nella scuola e nella conoscenza. Non è pensabile che la manovra sia incentrata soltanto sui tagli. A patto che investire sui giovani non voglia dire aumentare la flessibilità del mercato del lavoro in uscita, come mi pare si stia tentando di fare da più parti.

Al Meeting dialogano tutti, credenti e non credenti, cattolici, musulmani, ebrei. Qual è secondo lei oggi la sfida del dialogo?

Per i non credenti è accettare che la fede sia per i credenti una fonte di conoscenza. Non è facile per chi ha una impostazione razionalistica. Per i credenti, essere così aperti da cogliere l’impronta di Dio anche in chi non ha la fede.

Cosa augura al Meeting e a Cl?

Di investire ancora di più sulla costruzione della comunità nazionale. Nella stagione del dopo Berlusconi che si sta preparando, c’è il rischio che verso la politica domini una logica di scambio. È un pericolo che auguro a Cl di evitare.

(Federico Ferraù)

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