Da “L’Unità” del 18 agosto 2012. Il cammino verso la ripresa del nostro sistema Paese è ancora lungo e sono forti, ad ogni livello, le resistenze al cambiamento. Spesso troppo impegnati a litigare e a demonizzare gli avversari di casa nostra, non ci accorgiamo che la sfida del mercato è globale, non legata solo ai nostri guai nazionali e se vogliamo rimanere a galla dobbiamo cambiare, radicalmente. L’ubriacatura finanziaria è finita mostrando quanto fosse erroneo affidarsi alle mere dinamiche del mercato per costruire un nuovo sviluppo. Il sistema del welfare state, che fu una grande conquista, è degenerato in statalismo e, a partire dagli anni 80, ha raddoppiato il debito pubblico portando le tasse a un livello insostenibile. E allora quali possono essere le coordinate di un cambiamento necessario per garantire il futuro del nostro popolo? A questa domanda cerca di rispondere la mostra “L’imprevedibile istante. Giovani per la crescita” che sarà inaugurata il prossimo 19 agosto al Meeting di Rimini dal premier Mario Monti. Video, grafiche, animazioni, racconteranno esperienze nate da “imprevedibili istanti” in cui dei giovani, nella scuola, in università e nel mondo del lavoro hanno deciso di non lasciarsi trascinare dal flusso delle cose e hanno preso iniziativa seguendo con tenacia e creatività un’intuizione che li ha portati a esplorare soluzioni nuove nell’affronto dei problemi. Rispetto agli altri Paesi dell’Ocse in Italia si spende molto per la scuola primaria e secondaria e molto poco per l’istruzione universitaria, ma è provato che maggiori risorse non significano necessariamente migliori risultati, che sono favoriti invece da reale autonomia, competizione tra scuole e tra atenei, valorizzazione del merito, fattori assolutamente trascurati nel nostro sistema. Sistema che però non è neppure impostato per contrastare l’ingiustizia sociale, se è vero che gli abbandoni scolastici (195.000 l’anno) si verificano tra i più poveri, che la scuola professionale e i mestieri sono mortificati, che la selezione a riguardo di iscrizioni all’università e possibilità di lavoro avviene in base al censo (a cinque anni dalla laurea sono soprattutto i giovani di famiglie ricche ad avere contratti stabili). Perché non ammettere finalmente che l’incapacità della scuola italiana di creare maggiore mobilità sociale è dovuta al centralismo burocratico e statale che ha livellato e abbassato la qualità degli studi, ha mortificando gli insegnanti e non valorizza i capaci e meritevoli non dotati di mezzi, troppo spesso segnando l’avvio a dispersione ed emarginazione sociale da cui gli alunni più abbienti sono comunque maggiormente tutelati? Una politica non di schieramenti vuoti dovrebbe porsi queste domande e affrontarle. 



Ma la politica non basta: per vedere la crisi come opportunità occorre avere un’idea diversa di se stessi, riscoprire la natura profonda del proprio io come desiderio insopprimibile di bene che non viene vinto da nessuna circostanza avversa, ma può invece far riscoprire nuove risorse da mettere in azione. Nel nostro Paese questo ha prodotto anche ingegno, conoscenza, creatività, forza di aggregazione, ricerca della bellezza per sé e per gli altri. La mostra documenta l’impegno di operai, imprenditori, insegnanti, studenti, operatori sociali, semplici padri e madri di famiglia, delle più diverse estrazioni culturali e sociali, che si sono rimessi in azione senza aspettare che altri – sempre altri – risolvano i problemi. Stanno già cambiando la scuola italiana i docenti e quelle aggregazioni di studenti che dentro la scuola dialogano per partecipare attivamente e criticamente al lavoro della conoscenza. Stanno già cambiando l’università italiana studenti e docenti impegnati in iniziative libere nate dal basso nell’orientamento, nella didattica, nella ricerca, nell’internazionalizzazione, nel rapporto con le imprese. Non c’è altra strada che quella segnata dalla sussidiarietà, la via tesa a liberare la creatività, i desideri, lo spirito di iniziativa della gente e che fa di queste energie diffuse il motore di un nuovo sviluppo e di un equilibrio sociale più giusto.

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