Nel novembre 2011 il direttivo e il comitato scientifico  di Euresis, Associazione per la Promozione e lo Sviluppo della Cultura Scientifica, si sono  riuniti per decidere il tema della mostra da presentare al Meeting per l’Amicizia  fra i Popoli  a Rimini nel 2012. Il messaggio di fondo delle mostre di Euresis,  da 19 anni presenti al Meeting,  è sempre stato quello di documentare  i contenuti e i metodi dell’indagine scientifica e come essi hanno a che fare con i soggetti umani che ne sono protagonisti. Il tema della mostra del 2012 nasce con la stessa impostazione: nel solco del titolo del Meeting 2012, “La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito”, si è voluto documentare come questo rapporto si è concretizzato nell’esperienza umana di un ricercatore medico: il professor Jérôme Lejeune, scopritore della trisomia 21, l’anomalia cromosomica alla base della sindrome di Down.  Lejeune è stato un brillante ricercatore che ha saputo trovare, nei pochi indizi che le conoscenze genetiche degli anni 50 del secolo scorso  mettevano  a disposizione, la via per scoprire la causa di una patologia, il “mongolismo”, che tanta parte dell’opinione pubblica di allora considerava ancora dovuta a malattie infettive (tubercolosi, malattie veneree) dei genitori. E , anche, con non comune abilità manuale, ha saputo utilizzare, perfezionare e mettere a frutto quelle tecniche citogenetiche che hanno permesso di individuare nella presenza di un cromosoma soprannumerario, il cromosoma 21, la causa della sindrome.



Lejeune non si è fermato qui, ma si è posto altre domande (non trova risposte  chi non si pone domande): perché un cromosoma in più provoca alterazioni? Ha cercato la risposta in alterazioni del metabolismo, in particolare la via metabolica che richiede la presenza dell’acido folico. La risposta non è venuta anche per le limitazioni tecniche di allora, ma la sua intuizione non è andata perduta: oggi l’acido folico è considerato essenziale per prevenire una grave anomalia dello sviluppo, la spina bifida.



Non solo ricercatore comunque: Lejeune è stato “medico fino in fondo all’anima” e si è battuto strenuamente contro l’eliminazione in utero di quegli embrioni  nei quali era possibile diagnosticare, proprio grazie alla sua scoperta, la presenza della trisomia ed ha cercato fino all’ultimo giorno di trovare terapie contro la disabilità mentale indotta dalla alterazione cromosomica.

La questione che ci siamo posti è stata: quali sono state le ragioni che hanno motivato le posizioni pubbliche prese da Lejeune in favore della vita? Lejeune è uomo di grande fede cristiana (è in corso la causa di beatificazione e canonizzazione), leale verso il giuramento di Ippocrate “il medico non deve uccidere”, ma anche “toccato dall’infinito”. Come ha detto Benedetto XVI: “…si può dire che lo stesso impulso alla ricerca scientifica scaturisce dalla nostalgia di Dio che abita il cuore umano; in fondo, l’uomo di scienza tende  a raggiungere quella verità che può dare senso alla vita”. E la verità per Lejeune è che ogni uomo è unico, insostituibile, indisponibile per chiunque voglia impadronirsene e come tale vada guardato in quanto rapporto con chi l’ha creato a “sua immagine e somiglianza”.



La testimonianza di Lejeune è ancora più fondamentale oggi dove con gli sviluppi della genetica clinica e le conoscenze sul genoma umano si aprono possibilità terapeutiche, ma anche eugenetiche, ben oltre gli orizzonti che si potevano immaginare nel secolo scorso. Conosciamo  gran parte dei geni dell’uomo e l’intera sequenza del suo DNA. Quali informazione possiamo ricavarne? È vero che potremo sapere se una persona è portatrice di malattie genetiche, quali saranno le sue doti, il suo carattere, le sue inclinazioni? Soprattutto, queste conoscenze sono per curare meglio, come affermava Lejeune, o sono proiettate verso nuove forme di eugenetica? La moderna biologia evolutiva suggerisce però un’altra prospettiva: ci dice che il corredo genetico più che un “programma esecutivo” è un insieme di “strumenti” che l’organismo biologico usa, insieme a molte altre fonti di informazione, per costruire la sua vita. Quindi risulta difficile pensare ai viventi, e soprattutto all’uomo, come a esseri totalmente determinati e dipendenti dai geni. E riaffiora quell’immagine, cara a Lejeune, dell’unicità irriducibile dell’uomo e della contingenza di ogni vivente. Potevamo non esserci, invece ci siamo e questo sguardo sul reale non può non essere una continua e inesauribile fonte di sorpresa e di domanda: “Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi”. Un ‘indagine sulla genetica e natura umana a partire dallo sguardo di Jérôme Lejeune”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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