Caro direttore,
leggendo la bella intervista di Giorgio Vittadini sul Meeting di Rimini mi sono venuti in mente alcuni fatti di questo mese che credo meritino di non passare sotto silenzio, ma di essere affrontati.
La partecipazione del premier Matteo Renzi alla Route nazionale dell’Agesci nel parco di San Rossore ad inizio agosto è stata letta come un evento politico. Essa è stata accostata al mancato intervento dello stesso capo del governo al Meeting di Rimini, avvenuto mediante rifiuto pubblico e scritto a seguito dell’invito ufficiale degli stessi organizzatori del Meeting. Nelle scorse settimane la stampa di casa nostra non ha mancato di evidenziare in questi eventi il “declino del potere e del fascino del Meeting” a favore di una militanza più fluida e in sintonia con la dinamicità governativa.
Il Meeting – si è detto – è ormai associato al carrozzone delle cose vecchie della Prima e della Seconda Repubblica e non possiede più quel connotato popolare che lo ha reso un reale incontro dei protagonisti della società – economica, politica e religiosa – con la gente comune, fuori dai palazzi del potere. Insomma, sempre secondo i media, è esso stesso diventato espressione di un centro di potere, di un consociativismo e di un malaffare tale da essere rifiutato dal nuovo che avanza come scoria, come lobby, come manifestazione troppo compromettente.
Se da un lato molti vivono questi commenti con la strana ansia di ripeterli all’infinito, sperando che siano veri e che spingano la “kermesse” (!) riminese a togliere il fastidio dalla scena internazionale grazie a questa forte azione di screditamento, dall’altro lato non manca chi – sottovoce – si accoda a queste osservazioni sostenendo che questa nuova “irrilevanza” non sia altro che il frutto della scelta “religiosa” che l’area ecclesiale dal quale il Meeting prende le mosse avrebbe operato negli ultimi anni sempre con maggiore decisività, soprattutto dopo gli scandali che hanno coinvolto (a torto o a ragione) alcuni esponenti della Regione Lombardia.
Ebbene io penso che, a poche ore dall’apertura del Meeting, tutto questo bisogna guardarlo in faccia e coglierlo come un’opportunità grande per porsi l’unica domanda ragionevole che per me conta: “ma perché io, don Federico, vado al Meeting?”. Il Meeting è l’unica manifestazione italiana che non ha come obiettivo quello di affermare solamente la propria identità o di chiedere cose – più o meno concrete – alla politica. La differenza del Meeting rispetto a tutti gli altri eventi pubblici di confronto e di dibattito è che chi va al Meeting non va per riconfermarsi o per promuovere una certa linea politica, ma va per convertirsi, per spostare lo sguardo dal proprio ombelico al mondo.
Se uno ci pensa, ciò che succede a Rimini l’ultima settimana di agosto è qualcosa di folle: migliaia di persone decidono di incontrarsi perché sentono l’urgenza di cambiare, di fare un cammino. Essi non si ritrovano per confermare i propri valori o per manifestare il proprio tifo: essi si ritrovano perché la vita li spinge a ritrovarsi e a guardare insieme la realtà. Uno va al Meeting non per sapere chi votare né per rafforzare la propria lobby: uno va al Meeting perché gli è morto un figlio, perché è stato licenziato, perché è diventato amico di uno, perché si è reso conto che certe persone dicono cose importanti per il suo lavoro o per la sua famiglia. Uno parte per Rimini perché la vita gli pone una domanda, non per brandire la propria identità.
Ma c’è di più. Uno va al Meeting, e non in un altro luogo, soprattutto perché ha intuito che la domanda che ha − su di sé e sul mondo − non è stata presa sul serio da nessuno se non da Gesù Cristo. Il potere ha paura delle nostre domande ed è felice se gliele consegniamo, se chiediamo alla sua forza totalitaria di rispondervi con provvedimenti economici o sociali. Al contrario il potere teme che le nostre domande siano messe ai piedi di Cristo, siano condivise con altri uomini, siano guardate insieme a chi fa un cammino autentico di umanità e di verità.
Fin dalle origini, e non da qualche anno, chi vive l’esperienza da cui il Meeting sgorga ha sempre imparato che la risposta alle domande più vere della vita non arriva dal potere, ma dall’esperienza. In tutti questi anni ci siamo realmente resi conto che il Destino non ha lasciato solo l’uomo, bensì lo ha raggiunto in ogni particolare della storia attraverso volti, lacrime, risate che altro non sono che l’eco di ciò che accadde ai primi sul Mare di Galilea. Abbiamo imparato un metodo e lo abbiamo offerto a tutti dicendo che se uno si apre con onestà alla realtà, nella realtà non mancheranno mai persone − o momenti di persone − con cui il Mistero non ci provochi a fare un passo per l’edificazione nostra e del mondo intero. Incontrare, quindi, non è per chi va al Meeting un verbo bello da tradurre in inglese, ma il metodo con cui finalmente posso dire “Io” e guardare i figli, la moglie, il dolore e la gioia con una speranza che non viene dal mio o dal nostro potere, ma dall’esperienza.
Chi ha incontrato Cristo non può più fare a meno di vivere. Egli, infatti, ha introdotto una stima decisiva nella storia per la realtà e per la nostra libertà indicando nell’amicizia quella virtù per mezzo della quale aiutarci a seguire la Sua Presenza nei meandri della storia.
Certo, questo fa fiorire idee, suggerimenti, proposte, a volte (a causa del nostro peccato) può perfino rischiare di diventare un disegno di potere o di egemonia. Ma è per questo che ci incontriamo: non per consolarci, usarci o riconfermarci, ma per purificarci. Consapevoli che i nostri errori, i nostri peccati, sono una ferita alla strada di tutti.
Io vado al Meeting, pertanto, perché sono un poveraccio. E non pretenderei mai che il premier venisse per darmi importanza. Per questo parto sereno e contento, ed è per questo che sono rimasto sinceramente commosso dall’affetto che lega Renzi ai suoi amici dell’Agesci: perché vedo che anche lui − come me − prova a fare una strada, che nemmeno lui è stato lasciato solo dal Destino. E questo mi commuove. Perché penso che la stessa cura Cristo l’ha avuta per Maria e per Zaccheo, per il Santo e per il delinquente. E capisco che − proprio per questo − all’inizio del nuovo anno sono io che ho bisogno del Meeting, non il Meeting che ha bisogno di me.