La lettura del libro Se il Sole muore di Oriana Fallaci è un interessante avviamento alla visita a una delle mostre del prossimo Meeting, la mostra Explorers curata dall’Associazione Euresis. Il libro, pubblicato nel 1965, è un ampio reportage di due lunghi viaggi compiuti dall’autrice in Usa, nei luoghi dove si preparava la missione per lo sbarco sulla Luna, programmata per la fine del decennio a partire dal vigoroso discorso di Kennedy al Congresso nel 1961.



Molti temi e descrizioni di personaggi contenuti in queste pagine poi si ritroveranno nel più celebre best seller Quel giorno sulla Luna scritto dalla Fallaci dopo il memorabile allunaggio, a seguito dell’esperienza vissuta come inviata speciale de L’Europeo nel centro della Nasa a Houston e nella base di Cape Kennedy. Ma in questo libro di cinque anni prima c’è tutta la novità dell’esplorazione di un territorio fino ad allora sconosciuto, popolato da personaggi a diversi livelli implicati nella corsa allo spazio.



Nella mostra Explorers una prima parte è dedicata proprio alla “Race to Space”, dove vengono rivissuti i tentativi dei pionieri del volo spaziale e vengono descritti successi e insuccessi dei programmi che hanno animato, per un ventennio, una accesa competizione tra statunitensi e sovietici. Il libro della Fallaci ci presenta il lato americano della gara; ma le domande che lo percorrono riguardano l’intera impresa spaziale e si sporgono oltre la prima grande tappa della conquista della Luna raggiunta nel luglio del 1969. 

Sono le domande sulle motivazioni profonde di un progetto del genere, innescate dalle affermazioni perentorie del padre dell’autrice, al quale il libro è dedicato, strenuo sostenitore dell’inutilità dell’operazione: «La sola idea mi riempie di grande fastidio. Andar sulla Luna, a che serve. Gli uomini avranno sempre gli stessi problemi, sulla Terra come sulla Luna; saranno sempre malati e cattivi, sulla Terra come sulla Luna. E poi mi si dice che sulla Luna non vi sono mari né fiumi né pesci, non vi sono boschi né campi né uccelli: non potrei nemmeno andarci a caccia o a pescare». Tra l’altro, uno degli accorgimenti narrativi più indovinati del libro è l’interlocuzione diretta di Oriana col padre – al quale lei si rivolge continuamente come “papà” – che fa da contrappunto coinvolgente dei momenti più intensi del racconto e crea una suggestiva tensione tra passato e futuro, tra richiami storici dell’infanzia dell’autrice e fughe in avanti fantascientifiche.



A sottendere tutte le domande che la Fallaci rivolge a tutti quelli che incontra, non solo agli astronauti, sono gli interrogativi di fondo, che riguardano l’uomo, le sue relazioni con gli altri, il valore del suo fare, il senso di iniziative rischiose. Sono interrogativi di questo tipo che animano la curiosità per i tanti aspetti innovativi e per problemi nuovi che un’impresa come il viaggio sulla Luna comporta. 

La curiosità della reporter si spinge a voler indagare gli aspetti più strettamente ingegneristici del programma e ci sorprende con la descrizione, in anticipo di cinque anni, delle fasi dello sbarco sul nostro satellite naturale. Ma non si limita alle descrizioni: vuole toccare con mano e si fa mettere nel LEM (il modulo lunare) per provare “l’effetto che fa”; e nel centro sperimentale di San Antonio vuol provare il frullatore centrifugo che l’avrebbe sottoposta a un’accelerazione di gravità quadrupla di quella solita (anche se poi rinuncia, spaventata, all’ultimo momento).

Questo del toccare con mano sarà una delle chiavi di lettura della mostra del Meeting, che vuole sondare la tendenza, radicata nella natura umana, a espandere i propri confini alla ricerca di territori inesplorati. «Anche in assenza di vantaggi prevedibili – si dice nell’introduzione – l’esigenza di esplorare il mondo è stata sempre viva, motivata da una segreta attrattiva per tutto ciò che esiste». 

Una volta presa la decisione, come fa la Fallaci, di non limitarsi alla superficie mediatica dell’avventura spaziale e di voler sondare la profondità delle domande che sorgono, è inevitabile che il tema si allarghi e che l’esplorazione tocchi il suo centro motivazionale; per rilanciare l’interrogativo più pressante: cosa cercano in realtà gli esploratori?  

Significativo di questo allargamento del tema sono gli incontri con alcuni astronauti, come John Glenn, con von Braun e soprattutto con Ray Bradbury, il celebre autore di Cronache Marziane e di Fahrenheit 451: qui, in un serrato dialogo, vengono sfiorati gli argomenti più impegnativi, con tante ingenuità ed eccessi tipici della fantafilosofia e con qualche punta stimolante; come quando si prevede la difficoltà di accettare un incontro pieno con altri esseri, nel momento in cui l’uomo si accorgesse che sono totalmente “altri” rispetto all’immagine che ce ne eravamo fatti.

In questa prima cronaca, l’entusiasmo della Fallaci per l’esplorazione spaziale cresce e arriva a superare le perplessità del padre. Anche se le domande più radicali restano aperte; e non solo per lei. Anzi, l’ingigantirsi dell’avventura esplorativa negli anni successivi le rende oggi più acute: il grande viaggio del Voyager, raccontato in modo paradigmatico nella mostra con aggiornamenti quasi in diretta presi dall’attualità; la problematica prospettiva delle missioni umane su Marte; i progetti futuri. Sono momenti di un percorso che non ci lasciano sgomenti; piuttosto fanno aumentare la voglia di affrontare qualunque interrogativo. In questo percorso – si dice al termine della mostra – l’uomo non è stato deluso: «lo spazio, infatti, non è mai parco di bellezza e di misteri più grandi di quanto ci saremmo aspettati. L’uomo non può sentirsi alieno in un mondo che, strano e variegato come si presenta, lo accoglie alla fine di ogni ricerca, con un rifugio dove fermarsi a contemplare le bellezze del cosmo e gli apre una strada che lo invita a procedere oltre. Mentre continua il cammino, l’uomo non può dire con certezza di essere stato lasciato solo».