Chi ha secolarizzato l’Europa? Volendo essere provocatori, si potrebbe rispondere: il cristianesimo. Se, infatti per “secolo” si intende la centralità non solo delle cose mondane, ma anche della vita quotidiana di ogni uomo, allora dovremmo ammettere che non è casuale il fatto che la secolarizzazione sia un fenomeno scoppiato e cresciuto nel continente che è stato la culla del cristianesimo. È stata infatti proprio questa religione – con le sue peculiarità che la distinguono da tutte le altre – a spostare l’accento sull’uomo-persona – creato a immagine di Dio – e sulle sua esigenze anche minute. E in questo modo avviando un processo di lungo periodo destinato a ridefinire il confine tra trascendenza e immanenza, tra sacro e profano.   



Che cosa fu quella straordinaria fioritura storica – colma di una speranza nuova per un umanesimo capace di parlare di uomo senza dimenticare Dio – a cui abbiamo dato il nome di Rinascimento, se non il prodotto di una lunga gestazione avvenuta nel grembo di un millennio di cristianità? E non furono forse san Benedetto prima e san Francesco (soprattutto) poi gli antesignani dell’uomo moderno?



Per questa via, la modernità ha tracciato la sua strada. Lungo un percorso drammatico e entusiasmante insieme, ricco di svolte e passaggi difficili, che arriva fino a noi, all’Europa di oggi. In cui sembra che non ci sia più posto per Dio. E, di conseguenza, per l’uomo.

In realtà, il termine secolarizzazione ha dentro di sé un doppio registro. Una specie di ambivalenza costitutiva. Che è bene non dimenticare mai. 

Da una parte, per secolarizzazione dell’Europa si intende la tendenza alla prevalenza di una  visione esclusivamente mondana, centrata sull’io e la società, nella quale si assiste alla progressiva perdita del senso religioso. Indubbiamente, questo primo piano del discorso coglie numerosi aspetti della dinamica degli ultimi secoli. Al punto da spingere molti – oggi come ieri – a concepire la secolarizzazione come un processo ineluttabile, destinato a porre fine all’esperienza religiosa.



Dall’altra  parte, però, lo stesso termine indica la crescente centralità della vita di ogni singolo uomo. Prezioso portato storico del superamento, da parte del cristianesimo, di un’idea cultuale e irragionevole di religione. Come tale incapace di occuparsi del destino personale e della storia dell’umanità. Superamento che apre alla ricerca di un baricentro più avanzato nel rapporto tra Dio e l’uomo, tra trascendenza e immanenza, in buona sostanza, conseguenza ultima dell’idea cristianissima di incarnazione.

Vista alla luce di tale ambivalenza, la secolarizzazione moderna, figlia della cristianità, può essere interpretata alla luce della parabola del figliol prodigo.

Mi pare, infatti, che si possa dire che l’uomo moderno (europeo) ricorda molto quel figlio che,  diventato adulto, chiede la sua parte di eredità, decidendo di lasciare la casa paterna per andarsene a vivere per proprio conto, esplorando il mondo.

Come insegna la parabola, un tale passaggio, pur colmo di rischi, è inevitabile. Fa parte del difficile lavoro di rinegoziazione del rapporto padre-figlio. E l’Europa di oggi − profondamente  secolarizzata − è come quel figlio che ha preteso di fare a meno del Padre e di vivere con le sue sole possibilità. 

Di tale processo, portato a conseguenze sempre più estreme, se ne vedono oggi le conseguenze: mai come in questi anni, la gran parte della cultura europea pretende di autosistenersi e di autofondarsi. Facendosi prendere da quella hubris da cui già gli antichi greci mettevano in guardia. 

La domanda che a questo punto ci si può porre, è: chi  sono i cristiani oggi? E come possono disporsi di fronte a questa situazione?

Secondo alcuni, i cristiani sono coloro che non hanno ceduto alle sirene della modernità. Come il primo figlio che non è uscito di casa. Questa interpretazione è, per alcun aspetti, condivisibile. In senso positivo: molti cristiani si oppongono a processi che non sentono come loro e che anzi avvertano come offensivi per lo stesso Padre. Ma anche in senso negativo: non solo perché, come dice la parabola, il primo figlio cova, in realtà, una irrisolta invidia nei confronti del  fratello più piccolo; al punto da non riuscire ad apprezzare la casa dov’è nato e si è formato. Ma anche perché quel sentimento di estraneità, se non di rifiuto, nei confronti della modernità rischia di  essere un terreno di coltura dove crescono atteggiamenti  puramente reattivi, che arrivano a alimentare i  tanti fondamentalismi di oggi (non solo nel cristianesimo, ma in tutte le grandi religioni).

Una diversa interpretazione è quella secondo cui i cristiani di oggi non sono fuori dalla modernità e dagli effetti che comporta. Compresa la secolarizzazione. Non sono cioè estranei al tempo in cui vivono. In un certo senso, siamo tutti “là fuori”, lontani dalla casa del Padre. E questo semplicemente perché è il tempo storico che viviamo a metterci in tale condizione. Ciò è molto importante. Perché ci fa capire che i cristiani non sono diversi dagli altri e sono esposti, come tutti, ai venti del tempo. Allo stesso modo, però, proprio perché cristiani, coloro che conservano la fede hanno lo straordinario compito di far maturare, dentro la coscienza contemporanea, la memoria, la nostalgia, il desiderio per la casa da cui tutti proveniamo. È solo in questo modo, da una maturità dell’umano che siamo ancora ben lontani dall’aver raggiunto che la pienezza della libertà si troverà a coincidere con il disegno del Creatore.

In conclusione, il processo di secolarizzazione che pervade oggi l’Europa è colmo di insidie per la fede. Il processo di maturazione dell’umano rimane molto, molto faticoso. Ci sono numerosi segnali che inducono al pessimismo. Penso ad esempio alle crisi sistematica della famiglia o alla crescente confusione nei rapporti  di genere. O penso, ancora, al dominio della tecno-economia sull’uomo o al diffondersi di un individualismo radicale, indifferente e cinico.

E tuttavia, non  si possono né si devono perdere di vista i germi positivi che pure ci sono: la crescente consapevolezza della dignità di ogni vita umana, le tante forme di risveglio religioso, la vivacità delle famiglie che ce la  fanno, la ricerca di forme di economia più  sensate, la testarda rinascita della speranza sopratutto tra i poveri e i giovani. 

Ritorna così l’ambivalenza della secolarizzazione.  

A noi, come cristiani, il compito di essere profondamente nel mondo, ma non del mondo. Ciò significa accettare di correre il rischio di vivere la libertà dei figli per far maturare, un po’ per volta, un’idea di “uomo in relazione”. Con l’altro e con l’Altro. Nella logica che R. Panikkar chiamava “cosmo-te-andrica”, cioè in relazione al cosmo (natura), all’altro uomo, a Dio. 

Riuscire a reinterpretare in questa chiave la via della modernità secolarizzatrice è la vera sfida che si annuncia per l’Europa all’inizio del nuovo secolo. 

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