“E’ un evento che dovrebbe far scuola”: così Mario Luzzato Fegiz, decano della critica musicale italiana, a proposito del Meeting di Rimini a cui quest’anno partecipa per la prima volta come relatore dell’incontro che giovedì sera presenterà la mostra “Mondo piccoli-roba minima, le periferie esistenziali in Giovannino Guareschi ed Enzo Jannacci”. Fegiz in realtà parteciperà alla serata su Jannacci, mentre il giorno dopo, venerdì, si parlerà di Guareschi. Apprezza il fatto di aver messo insieme due figure apparentemente così lontane fra loro, Fegiz: “E’ una buona idea, perché esiste un mondo minimo che abita luoghi e contesti diversi ma che in realtà non lo sono. Il loro è un mondo minimo che si colora e si esalta in un contesto assolutorio”.
Era già stato al Meeting in precedenza? Che idea ne aveva e cosa si aspetta di incontrare quest’anno?
Sono stato per la prima volta al Meeting solo lo scorso anno e ne sono rimasto folgorato.
Cosa l’ha colpita in modo particolare?
Sono andato a vedere la mostra dedicata a Chesterton, ma mi ha impressionato un po’ tutto. La grandezza del Meeting stesso, l’organizzazione e direi la qualità anche fisica e materiale dell’evento. Sinergie ai massimi livelli, c’è davvero attenzione per tutto e per tutti: le mense per i bambini, l’animazione, una full immersion che fa scuola, anzi che dovrebbe fare scuola.
Spesso invece si è identificato il Meeting con un evento puramente politico.
Purtroppo questo è endemico di certi tipi di avvenimenti, per cui i grandi dell’economia e della politica scelgono questo tipo di tribune per dare annunci. Ma è sicuramente fuorviante, il Meeting è ben altro come varietà di offerta culturale. Come dice il mio amico Ballandi purtroppo fa più rumore una quercia che cade che una foresta che cresce.
Che ne pensa dell’idea di una mostra che unisce Guareschi e Jannacci?
L’idea è buona perché esiste un mondo minimo che abita in luoghi e contesti diversi apparentemente ma in realtà è lo stesso mondo. Il loro è un mondo minimo che si colora e si esalta in un contesto assolutorio.
In che senso assolutorio?
Da musicante quale sono io al Meeting parlerò solo di Jannacci, ma comunque entrambi hanno questo senso di assoluzione nei confronti degli avvenimenti della vita.
Una assoluzione che però non è rinuncia a giudicare, a comprendere, ad amare, giusto?
Certamente no. C’è una battuta di Jannacci sul set di un film che dice tutto quello che c’è da dire al proposito.
Quale?
Una domanda che gli fa il regista Tullio Piacentini, la domanda che tutti poi facevano a Jannacci: cosa centra la carriera di medico con quella di cantante o attore? E lui sorridente rispose: l’uomo bisogna conoscerlo da dentro.
Infatti quello che caratterizza il lavoro di Jannacci è proprio l’uomo, l’abbraccio verso l’uomo nelle sue mille sfaccettature, essenzialmente quella del povero cristo.
Sì, i due si focalizzano su persone precise. Per Guareschi Peppone e don Camillo, mentre invece una parte rilevante delle canzoni di Jannacci ha per soggetto sin dal titolo delle persone precise, una persona fisica: Mario, Silvano, Veronica, Cesare il partigiano, Vincenzina. C’è poi una sua poesia, una sua canzone, Natalia, storia di una ragazza malata vittima di molte sofferenze, dove il chirurgo cantante si mette addirittura nei panni del paziente per condividerne la sorte ma con un pessimismo di fondo, quando dice “Natalia che non puoi sapere cos’è bradicardia cioè che tutto sta andando a puttane e così sia Natalia”.
Però la canzone dice anche si poteva chiedere aiuto a qualcuno, “magari anche alla Vergine Maria”.
Ma c’è in Jannacci anche un pessimismo abbastanza evidente, qualcosa da aspettare, la vita come inquietudine della condizione umana, sempre in attesa di una nuova scadenza senza curarsi del presente. Personalmente questa vena assolutoria di cui dicevo la trovo anche in personaggi come De André e poi in figure surreali come il tizio che faceva il palo dell’Ortica di cui non si fa neanche il nome. O il senza tetto de Scarp de tennis o lo sfigatissimo de Il volatore di aquiloni che cerca il mare ma il mare non si offre ai poveracci come lui.
Le periferie esistenziali, che appaiono nel titolo di questa mostra, che danno il titolo al Meeting, che ci ha ricordato il Papa: ripartiremo da lì per ricostruire quell’umano che sembra quasi scomparso nel mondo sanguinario di oggi?
Sarebbe auspicabile, la speranza è in quello che ci ha detto il Papa stesso al proposito. In Guareschi e Jannacci esisteva ancora una pietosa, una umanità ancora capace di superare certe logiche. Oggi siamo andati in netto peggioramento, ma è chiaro che il riscatto debba partire dagli ultimi.
(Paolo Vites)