Nel corso della prima intensa giornata del Meeting anche la storia di una delle comunità terapeutiche più significative d’Italia, la Pars. Titolo dell’incontro, che è stato introdotto da Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione Sussidiarietà e a cui ha partecipato il docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi Salvatore Abbruzzese, José Berdini responsabile della Pars e Patrizia Rallo, insegnante, è “Il miele e la neve, il ritorno di chi si era perso: l’avventura della Pars”.



E’ il titolo del libro dello stesso Abbruzzese, come ci ha spiegato José Berdini in questa conversazione con ilsussidiario.net: “L’occasione per questo libro e questo incontro è dato dai venticinque anni di attività della Pars, una avventura cominciata grazie all’amicizia con don Pierino Gelmini e don Luigi Giussani che ci ha spinto a dedicarci a chi ha problemi di dipendenza”.



Berdini, ci può anticipare il contenuto del libro e dell’incontro?

Il libro è diviso sostanzialmente in due parti. La prima contiene interviste fatte a giovani che sono passati dalla comunità e oggi vivono libertà da dipendenze varie mentre la seconda parla dell’esperienza del villaggio San Michele Arcangelo dove abbiamo la sede più importante della nostra comunità. Qui vivono sei famiglie che fanno affido nello stesso villaggio che ospita una comunità terapeutica e una comunità per minori in stato di difficoltà tolti alle loro famiglie.

Quante persone sono passate da voi in questi venticinque anni?



Non ho il numero preciso, ma sicuramente migliaia di persone molte delle quali grazie alla loro libertà e responsabilità acquisita da noi hanno oggi una vita serena, famiglia e lavoro.

In che modo vi ponete per aiutarli a uscire dalle dipendenze?

Le chiavi sono diverse. Innanzitutto il lavoro con i ragazzi, la consapevolezza da parte nostra di portarli a una autonomia, a una coscienza di possibile autonomia e quindi di speranza di vita. Questo passa attraverso il lavoro educativo con  psicoterapia e psico farmaci. Attenzione: noi non usiamo il farmaco per annichilire la persona come si usa fare in occidente ma per cercare di recuperare quello che è recuperabile.

E oltre a questo?

Dentro a questo l’esperienza del lavoro che è offerto già nel percorso come formazione e come possibilità di recupero. Lavoro che viene offerto dentro le cooperative che sono nate da Pars ad esempio l’inserimento socio lavorativo nei campi dell’agricoltura biologica, della produzione di marmellate, di vino biologico. Oppure con contatti con aziende delle zone da dove provengono. Insomma, un rilancio della persona che più si impegna e guarda a sé con autonomia più si recupera.

Un recupero dell’Io cancellato dalle sostanze come droga o alcol.

Noi valorizziamo al massimo anche l’esperienza della famiglia a differenza di quanto fanno altre comunità che tendono a escluderla sostituendosi ad essa deificando se stessi. Per noi onora il padre e la madre è la prima cosa al di là degli errori che la famiglia possa aver fatto.

 

Questa estate il problema della droga è tornato alla ribalta con la morte del giovane di 16 anni in una discoteca. Che giudizio dà di questo episodio?

 

Prima di tutto un grande dispiacere, noi con i minori lavoriamo e vediamo che si può tirare fuori un positivo da loro. Poi il potere che si comporta in modo schizofrenico: da una parte in modo adolescenziale di fronte alle tragedie dice chiudiamo tutti i locali. Di contro opera una dichiarata tentazione di legalizzare le droghe che da sinistra arriva a destra. E’ una schizofrenia di persone che fanno calcoli precisi, come hanno fatto in Colorado dove incassano milioni di dollari con la legalizzazione della cannabis, nel tentativo di riportare denaro nero nelle casse dello stato.

 

E quindi?

 

Noi ci opponiamo non per motivi ideologici, ma perché la scienza dichiara che la marijuana provoca forti depressioni e psicosi. Se poi lo stato vuole diventare spacciatore lo faccia, noi continueremo a fare il nostro lavoro.

(Paolo Vites) 

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