Gesù, nell’agonia del Getsemani, non si è opposto alla tentazione di donarsi invano a un mondo che non lo avrebbe accolto cercando argomenti nell’umanità che ha frequentato da più di trent’anni. Anche Pietro, Giacomo e Giovanni lo stanno deludendo dormendo mentre Lui soffre e veglia, e presto lo deluderanno ancor più fuggendo e rinnegandolo. Ciò che vince la tentazione non è un giudizio sull’umanità, un’analisi della situazione morale delle persone, della Chiesa, del mondo. Ciò che la vince è il riferimento al Padre: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te (…). Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). Dicendo al Padre “Tutto è possibile a te”, Gesù non poteva non pensare a quello che disse subito dopo il triste abbandono del giovane ricco: “Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze [cioè che credono di non mancare di nulla], entrare nel regno di Dio!”. “E chi può essere salvato?”, domandano angosciati i discepoli. Allora Gesù “guardandoli in faccia” anticipa quello che dirà al Padre nel Getsemani: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (cfr. Mc 10,23-27).



Ma cosa vuole il Padre? A Lui tutto è possibile; ma cosa vuole veramente, cosa realizzerà veramente la sua onnipotenza? Cosa rende possibile Dio mandando il Figlio nel mondo? Cosa ha voluto realizzare mandandolo ad obbedire fino alla morte, e alla morte di Croce? Cosa ha mandato il Padre incontro alla mancanza instabile, incostante e deludente dell’uomo?



Ciò che ha mandato il Padre nel Figlio è fondamentalmente una grande rivelazione, una grande rivelazione di Se stesso, del suo Cuore. In Cristo, Dio ha rivelato e sta rivelando a tutta l’umanità che l’uomo manca al Padre infinitamente di più di quanto il Padre possa mancare all’uomo.

“Mi manchi!”. È il ritornello drammatico dei rapporti umani. Quanto è presente questa espressione nella letteratura, nelle canzoni, nei film! È la grande ferita dei cuori umani, perché creati per compiersi nella relazione, nell’amicizia. Misuriamo l’amore da quanto l’altro ci manchi o da quanto manchiamo all’altro.



Ma tutto il mancarci profondo o superficiale fra di noi, anche il mancare struggente della morte di chi ci è caro, non è che il simbolo del fatto che ci manca Dio.

Ma che mistero è mai questo che tutta la mia consistenza sia Uno che mi manca? Che mistero è questo che io continui a vivere, anche quando mi manca tutto, perché mi manca il Solo senza il quale non posso vivere? Come è possibile che viva ancora se mi manca Colui che è tutta, tutta!, la consistenza del mio esistere?

La risposta, appunto, è venuta a darcela Lui stesso, ce l’ha rivelata Lui stesso. La risposta è che Colui che ci manca è Uno a cui manchiamo noi! È la grande rivelazione che Gesù ha condensato nella parabola del figlio prodigo: il figlio manca al padre più di quanto il padre manchi al figlio.

La mancanza che riempie il nostro cuore, la ferita del nostro cuore, non è che il riflesso, e quanto impreciso!, quanto torbido!, di una mancanza infinita, misteriosa, eterna: che noi manchiamo a Colui che ci fa, che noi manchiamo a Colui che abbiamo abbandonato. Ci ha fatti con una libertà che ferisce in Lui un’attesa, un’aspettativa, un’ansia, una solitudine, un abbandono, una mancanza di noi a Lui che è messa nelle nostre mani, nel nostro cuore, nella nostra decisione o meno di tornare a Lui, di rispondergli.

E questa è la misericordia! È il grande annuncio di Cristo, la grande rivelazione che è Cristo: la misericordia è che noi manchiamo al Padre, che nel cuore di Dio c’è uno spazio di amore al quale manchiamo, che ci attende, che ci attende da sempre, eternamente.

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