“E allora gli zingari guardarono il mare 

e restettero muti perché subito intesero

 che lì non c’era niente, 

niente da dover capire, niente da stare a parlare, 

niente da stare a parlare c’era solo da stare, 

fermarsi e ascoltare”.

(Dal brano musicale “Gli zingari”, di Enzo Jannacci 1998)

 



Gli zingari di Jannacci sono la gente, tutta la gente,  uomini e donne che non hanno una patria, una patria su questa terra: non solo i migranti che attraversano il destino sui barconi, non solo vecchi e bambini scacciati dalla propria terra, dalla propria storia, dai racconti delle proprie madri.

E’ una umanità ferita due volte: la prima perché  costretta a subire la violenza delle armi, delle ingiustizie, ma anche delle parole, anche delle menzogne; la seconda perché non trova dove posare il capo, delle braccia che la possano accogliere e amare. 



Enzo Jannacci, per oltre cinquanta anni, ci ha raccontato  storie di persone,  storie di un tempo oggi ormai passato, ma storie straordinariamente attuali, storie di sconfitte, di dolore, di povertà.

I disagi del nostro tempo, segnato dalla perdita della speranza, le sofferenze fisiche e morali di un mondo globalizzato, che on line non può nascondere  tutte le sue drammatiche contraddizioni, lo smarrimento di una identità che non si riconosce più nei propri padri, dopo averli rinnegati e rifiutati, tutto ciò genera una nuova e più grande miseria.

I personaggi delle canzoni di Enzo Jannacci sono consapevoli della propria condizione, sanno cosa li fa soffrire, cosa manca, cosa cercare, quello che vogliono, cosa è importante: e ci provano, e non ci riescono, e ci riprovano, fino a quando, apparentemente sconfitti,  si fermano a guardare, e attendono, e sperano, ancora.



I poveri di oggi, di cui fanno ampia parte anche quelli che si illudono di poter farcela, perché stanno dalla parte più ricca del mondo, perché stanno dalla parte di chi detiene il potere, i poveri di oggi hanno perso l’unica ricchezza che possiedono i personaggi cantati da Enzo Jannacci, e che  sola è sufficiente per riscattare una vita intera: la dignità. 

La dignità che, nella consapevolezza della propria condizione, non impedisce loro di sperare, di lottare, anche di morire, con una ragione, per un amore, insieme all’altra gente.

E’ per questa loro grande dignità che Enzo Jannacci può anche ridere delle miserie umane dei suoi protagonisti, subito riscattati dalla loro autenticità, lealtà nei confronti di se stessi e dei propri limiti che, non solo non cercano di nascondere, ma che mostrano senza vergogna , come degli ‘accidenti’ con cui bisogna convivere.

I poveri di oggi innanzitutto  si affannano a nascondere le proprie fragilità, fino a finire per credere che non esistano, e delle quali non è possibile sorridere, fino a diventare loro stessi artefici e complici delle proprie sventure. 

Se si può ridere della semplicità del Soldato Nencini, se si può provare simpatia per il barbone delle Scarpe del Tennis, se si può fare il tifo per un Bartali che fa ‘incazzare i francesi’, se ci si può intenerire per il cuore infranto di Giovanni Telegrafista, è solo perché sono personaggi autentici, perché ci rappresentano nelle nostre miserie, nei nostri desideri, nelle nostre ingenuità.

La nostra povertà, la povertà di oggi innanzitutto va riconosciuta, non va nascosta, censurata. 

E’ necessario compiere un primo grande gesto di libertà: accettare di aver bisogno,  perché desiderosi di essere riconosciuti e amati per il poco o tanto che si è, disposti a rimanere in silenzio, disponibili a stare a guardare, persuasi che Qualcuno o qualcosa potrà venire a salvarci.

 “Sì perché il vecchio, proprio lui, il mare, 

parlò a quella gente ridotta, sfinita, 

parlò ma non disse di stragi, di morti, di incendi, di guerra, d’amore, di bene e di male, 

non disse lui li ringraziò solo tutti 

di quel loro muto guardare”.

E’ da questo sentire, è da questo primo e indispensabile gesto di libertà, che sono nati i racconti contenuti nel mio libro “Le scarpe del tennis” pubblicato da Itaca Libri e che ho voluto portare sul palcoscenico nello spettacolo omonimo che viene presentato al Meeting di Rimini di quest’anno. I personaggi raccontati sulla scena sono quelli che Enzo ha descritto nelle sue canzoni, con le loro storie, che si confondono con le mie storie, in un prima e in un dopo, tenute insieme da quelle musiche e da quelle parole che già fanno parte della nostra stessa vita: nella memoria e nell’esperienza di ogni giorno.

L’appuntamento dunque è a Rimini presso il teatro Novelli, lunedì 21 agosto alle ore 21,30. 

 “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”: per chi si riconosce anche solo un poco ‘figlio’ di Enzo Jannacci, delle sue canzoni, del suo “muto guardare”, del suo “allegro cantare”, l’invito è quello di condividere una serata che ha per tema la vita, … semplicemente la vita.