Al Meeting di Rimini verrà proposta la mostra “Il cielo vive dentro di me”, che racconta la vicenda umana di Etty Hillesum (1914-1943), giovane ebrea olandese vittima della persecuzione nazista, ma che proprio dentro questo orrendo dramma scopre il mistero della sua persona e come alla sua sorgente vi sia Dio. 

La mostra racconta il percorso di presa di coscienza di sé che la Hillesum compie in seguito all’incontro con lo psicochirologo Julius Spier, allievo di Jung: Etty, in quei difficili anni in cui l’Olanda era stata occupata dalle truppe naziste, era una giovane donna inquieta e insoddisfatta; pur avendo ricevuto un’educazione all’ebraismo, si era allontanata da Dio. È l’incontro con Spier, avvenuto il 3 febbraio 1941 ad Amsterdam, a dare inizio ad un lavoro su di sé che lei documenta nel suo Diario, pubblicato solo negli anni 80.



Non è una mostra “su” Etty Hillesum, ma una mostra in cui si dà voce a Etty, in cui lei racconta il periodo della sua esistenza che va dalla prima pagina del Diario, datata 8 marzo 1941, fino al 7 settembre 1943, giorno in cui la Hillesum e la sua famiglia verranno caricate su un convoglio e trasferite ad Auschwitz dove la giovane morirà. 



La mostra si serve del Diario, scritto fino al 13 ottobre 1942 e delle numerose Lettere agli amici che coprono soprattutto gli anni 1942 e 1943.

Attraverso tre parti, due scritte e quella centrale con un video, la mostra documenta ciò che accade ad Etty: innanzitutto il lavoro su di sé iniziato con Spier suscita quella che lei stessa chiama una “grande presa di coscienza di sé” e che la porta a riconoscere dentro di sé Dio, la sorgente imperitura della propria umanità; nei mesi centrali del 1942 avviene un salto nella coscienza della donna, che comincia a capire di dover assumersi la responsabilità di fare con tutti ciò che Spier ha fatto con lei. La Hillesum sa in modo chiaro e preciso quale sia questo compito e lo indica sia nel Diario sia nelle Lettere. È il compito di disseppellire Dio dal cuore di ogni uomo.



Questo è un momento decisivo e indica quanto l’esperienza di Etty Hillesum sia unica e affascinante: in un mondo ebraico che spesso cadeva nella disperazione e che si sentiva abbandonato da Dio, la Hillesum esprime una coscienza del tutto opposta: Dio c’è e ha bisogno degli uomini. Qui sta il fattore che più colpisce della sua esperienza, lei si rivolge a Dio come ad un Tu al quale dice che vuole prendersi la responsabilità di renderlo presente proprio in quei luoghi dove tutto sembra negarne l’esistenza.

Etty non fa analisi, la sua vita testimonia una decisione di vivere ciò che ha scoperto. In questa direzione nuovo è anche il giudizio che dà su come combattere il male e l’odio: non bisogna rispondere al male con il male, all’odio con l’odio, bisogna innanzitutto vincere dentro di sé l’odio e trasformarlo in amore verso gli altri, anche verso i propri aguzzini.

Commovente come citi a più riprese l’inno alla carità nella Prima Lettera ai Corinzi dell’ebreo Paolo. È l’amore il filo rosso dell’esperienza di Etty Hillesum, un amore che lei vive andando volontariamente nel campo di transito di Westerbork, un amore pieno di condivisione nei confronti della gente con cui sta nel campo e di cui spesso vede la disperazione, perché incapaci di staccarsi dal possesso delle proprie cose e della propria vita.

Il suo invece è uno sguardo più ampio, ciò che ha incontrato è qualcosa che dà senso al vivere, un Dio che abbraccia tutte le contraddizioni e anche se non le toglie dà la forza necessaria per viverle. Anche a questo livello la Hillesum testimonia qualcosa di nuovo, che la vita nuova, lei lo chiama un nuovo umanesimo, non inizia dopo che sono state tolte tutte le ferite, ma è già presente dentro il male della guerra e della persecuzione razziale.  

L’ultima parte della mostra ha come documentazione fondamentale le numerose Lettere scritte agli amici: alcuni sono amici e amiche della sua giovinezza, altri conosciuti nel Circolo di Spier, altri ancora nel campo di Westerbork. Quella che Etty propone è un’amicizia vera perché poggiata sulla responsabilità che ognuno si prende della propria vita: Etty sottolinea che essere amici non è scaricare sulle spalle dell’altro il peso che si è chiamati a portare, ma è vivere fino in fondo il proprio destino. Così si aiutano gli altri, facendo ciò che la Hillesum ha fatto in tutta la sua vita, impegnandosi con le domande di senso che la realtà le ha posto davanti. 

Raccontare ciò che Etty Hillesum ha vissuto e il modo in cui lo ha vissuto entra nel merito della sfida di oggi, dove sono altri i muri e le barriere, ma quanto mai reali e mettono a rischio, riducono o nascondono l’umano: e allora, come ha fatto Etty, bisogna prendere sul serio se stessi, fare un proprio percorso per trovare le stesse sorgenti zampillanti che lei ha trovato, così che seguendo il loro corso si possa riconoscere il valore dell’io e nella sua profondità Dio stesso. Una sfida quanto mai importante e all’altezza dei tempi.  

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