Il Meeting ha vissuto e vive nelle tempeste del mondo. Pensato e deciso alla fine degli anni di piombo per recuperare una speranza nell’uomo della quale ne vedeva comunque i presupposti, si è presentato all’appuntamento con un’epoca di grandi trasformazioni, segnata dall’inizio del declino della dittatura sovietica e dall’epopea di Giovanni Paolo II. Attualmente il Meeting naviga in un mare significativamente diverso. È da una tale diversità di scenario che occorre partire per ogni analisi che aspiri ad essere onesta.



Non è possibile qui fare delle sintesi che non siano affrettate. I sociologi parlano da almeno due decenni di “società degli individui”, segnalando con ciò non solo il noto declino dei legami territoriali e familiari, ma anche e forse soprattutto il venir meno dei corpi intermedi (partiti, sindacati, associazioni e movimenti) che contribuivano a rinsaldare il legame sociale.



Ad una simile società non ci si può adattare per il semplice motivo che questa non esiste affatto, né come progetto sociale condiviso, né ancor meno come disegno culturale e politico. La sofferenza della politica – facilmente chiamata in causa a giocare il ruolo di capro espiatorio – non è che il riflesso di un ristagno progettuale in un mondo nel quale i destini dei popoli si giocano su scale sovranazionali e l’Europa, la nostra casa comune, brilla da anni per il venire meno alle attese ed alle aspettative che tutte le migliori energie vi avevano riservato. Ed è questo un invito non certo a metterla da parte, ma a prendere atto dei limiti che ha manifestato per superarli.



Adattarsi ad una simile società senza più progetto sociale né disegno culturale significherebbe semplicemente sciogliersi in essa, andando ciascuno nel microcosmo che preferisce: dall’abbazia benedettina ai no global, dai tifosi della curva sud ai consumatori di prodotti biologici, dagli amanti degli animali agli entusiasti della cucina (oggi così di moda), passando per i cultori delle nuove tendenze, magari in attesa del prossimo Sanremo nel quale sono proprio quest’ultime a dare mostra di sé.

Cosa vuol dire per il Meeting adattarsi al mondo se non presentando una chiara lettera di dimissioni da una simile deriva, per andare invece alla ricerca dei capolavori dell’umano, a cominciare dalle opere che hanno preso corpo e consistenza dalla stessa radice che ha dato vita al Meeting: dall’Avsi alla Compagnia delle Opere, passando per il Banco Alimentare fino ad arrivare alla Fondazione per la Sussidiarietà? Cosa vuol dire adattarsi al mondo se non andare in cerca delle mille realtà nascoste che vi prendono vita, arrivando a commuoversi, ora come quarant’anni fa, per ciò che di buono e di sorprendentemente umano quest’universo di gente arriva a produrre ed a donarci, come testimonianza di una vita autentica? Cosa vuol dire per il Meeting adattarsi al mondo se non recuperando, attraverso le mostre, queste meraviglie del bene, queste opere del cuore che vanno (tanto per citare alcuni esempi) dall’Ospedale degli Innocenti alle foto di Tony Vaccaro, passando per la memoria di don Giancarlo Ugolini e le testimonianze di personalità come Etty Hillesum, Madre Maria, Václav Havel?

Resta allora, sul tavolo, la lettera di dimissioni verso un mondo che è incomprensibile, dove ogni descrizione si è fatta incerta. Dove non c’è politica che non sia accordo di spudorata convenienza, senza fede né legge, per un elettorato che, di fatto, attraverso il partito del non voto sta arrivando a rispedire al mittente il dono del suffragio universale che era stato al cuore delle migliori speranze del Novecento. Ha senso contrapporre ancora oggi Parsifal a Superman? O affiancare l’Ammiratore a Thomas Becket? C’è ancora un mondo da conquistare o da ammirare? C’è ancora una “immensa certezza”?

La risposta è certamente sì, ma – e non è la prima volta – va ricercata oltre la cortina delle bombe, oltre i deliri dei fanatismi paranoici e omicidi, oltre le derive dei “canapai” e della cultura dello sballo. Occorre andare oltre la nebbia e il Meeting è certamente l’approdo maggiormente visibile dove una tale ricerca del Vero può dirigersi per ricostruire quello stesso progetto di città che il cristianesimo ha sempre alimentato nel corso della storia e che non cesserà di riprodurre. Ogni volta, da capo.

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