“La coscienza non è una cosa tra le cose, ma è l’orizzonte che contiene ogni cosa”, diceva il filosofo Edmund Husserl. Un orizzonte che è sempre più oggetto di indagine non solo filosofica, ma anche scientifica. Sono molti i ricercatori che si cimentano in questi studi e che cercano di carpire il segreto racchiuso in questa esperienza singolare e sfuggente che è di tutti e di ciascuno.
Sul tema della “conoscenza della coscienza” ci sono in realtà diverse posizioni. C’è chi ritiene la coscienza così ineffabile da rendere vano ogni tentativo di comprenderla e addirittura impossibile ogni investigazione con i metodi scientifici. C’è chi cerca di comprenderla attraverso lo studio delle funzioni e dei comportamenti che possiamo osservare esternamente.
C’è però anche chi si pone in una posizione in qualche modo intermedia, collocandosi in un punto di equilibrio che non cerca di spiegare perché la coscienza c’è, ma propone un percorso scientifico per studiarla. È il caso di Marcello Massimini, professore di Fisiologia dell’Università degli Studi di Milano, che ha ben illustrato tale approccio nel libro Nulla di più grande. Dalla veglia al sonno, dal coma al sogno. Il segreto della coscienza e la sua misura (2013) scritto con Giulio Tononi, e che interverrà questa sera al Meeting di Rimini invitandoci a “Un viaggio nel cervello alla ricerca della coscienza”.
L’approccio di Massimini parte dall’intenzione, come lui stesso ha più volte affermato, di “prendere la coscienza sul serio”. In effetti, quella a cui arriva è una sorta di rivoluzione copernicana in quel campo di studi denominato “scienza della coscienza”, una rivoluzione basata su un preciso principio metodologico: “partire dall’esperienza”, ovvero dall’osservazione attenta dell’esperienza; i più raffinati direbbero “dalla fenomenologia”. Tutto quello che l’esperienza ci mette a disposizione è il materiale migliore che possiamo utilizzare per indagare il fenomeno coscienza. E il primo dato molto chiaro che emerge da questa documentazione è che “la coscienza esiste”. Non è un’affermazione semplicistica ed è tutt’altro che scontata: molti neuroscienziati, appartenenti ai filoni del funzionalismo e del comportamentismo, sviluppano un insieme di teorie che paradossalmente finiscono per negare l’esistenza stessa di ciò che stanno studiando.
Secondo Massimini, una teoria adeguata dovrebbe essere costruita a partire da assiomi derivati appunto dall’esperienza, così come tutti la viviamo e la possiamo osservare e che costituiscono quindi le proprietà fondamentali della coscienza umana. Fondamentalmente se ne possono individuare due. La prima è che la coscienza è qualcosa di unitario: quello che percepiamo è un tutt’uno. La seconda è che la ricchezza di informazioni che caratterizza ogni esperienza cosciente non può essere giustificata semplicemente dal fatto che in ogni momento noi vediamo diverse cose: è una ricchezza intrinseca in ciascuna esperienza, perché in ciascuna esperienza cosciente – che dura circa 200-300 millisecondi – il nostro cervello entra in uno stato che è solo uno tra gli innumerevoli possibili; e questa possibilità di selezionare uno stato escludendone molti altri costituisce l’essenza dell’informazione.
L’obiettivo del neuroscienziato che indaga la coscienza è allora quello di cercare di scoprire quali meccanismi possono spiegare il manifestarsi di quelle proprietà fenomenologiche osservate; si tratta quindi di fare un’inferenza sul mondo fisico, che è spinta da tre fattori: da un interesse squisitamente scientifico, dall’urgenza esistenziale di capire il rapporto tra la “mia” coscienza e la realtà esterna, dall’urgenza clinica ed etica di riconoscere la coscienza al di là delle funzioni, dei comportamenti. Per questo riconoscimento i neuroscienziati si prefiggono di trovare gli elementi fisici da poter “misurare”: tali elementi non sono tanto il numero di neuroni o i livelli di attività neurale, ma piuttosto ciò che permette di evidenziare la “coesistenza miracolosa” tra unitarietà e diversità. Per dare un’idea di questa unitarietà Massimini fa l’analogia con un’orchestra, dove una varietà di strumenti, spartiti, musicisti riescono ad operare come un tutt’uno, si esprimono in qualcosa che tutti percepiamo come unitario.
La ricerca è indirizzata quindi a trovare delle buone misure empiriche per poter registrare tale coesistenza anche su soggetti che non rispondono in alcun modo a stimoli esterni.
Lo stesso Massimini qui al Meeting offre una dimostrazione di questo tipo di misure. Nello spazio espositivo “Dire io. Linguaggio e Coscienza” allestito da Associazione Euresis e da Camplus, un video mostra l’utilizzo di uno stimolatore magnetico transcranico per attivare, in modo non invasivo, un gruppo di neuroni e poi registrare, con opportuni sensori applicati sulla calotta cranica del paziente, la “musica”, cioè l’eco elettrico, dell’attività dei neuroni in diverse aree della corteccia cerebrale. Sullo schermo del laboratorio di Massimini si può osservare la traccia di un’attività cosciente in atto: si nota come dall’area interessata posta sotto lo stimolatore l’attività si propaga, in modo complesso e diversificato, in altre aree proprio perché il cervello risponde come un tutt’uno. Viceversa, la propagazione e l’unitarietà di risposta non si osserva nel caso di un soggetto non cosciente.
Avere a disposizione misure di questo tipo e modelli di risposte di soggetti coscienti permette di riconoscere situazioni di coscienza anche là dove l’analisi clinica non lo rileverebbe e quindi invita a trattare il paziente in modo adeguato, rispettando fino in fondo la sua misteriosa condizione.
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