“Quando tornavo a casa dall’ospedale i miei figli mi guadavano stupiti e dicevano: mamma, in un momento in cui tutti parlano del coronavirus come una tragedia, tu torni a casa contenta. Com’è possibile?”.

È la dottoressa Federica Poggiali, della Medicina ad alta intensità del Niguarda di Milano, moglie di un altro medico, madre di sei figli, a raccontare in questi termini la propria esperienza professionale da maggio a giugno 2020, nel documentario dal titolo “Testimoni di un bene dal fronte anti Covid”, una produzione filmati milanesi, realizzato per il Meeting 2020 dall’Associazione Medicina e persona, in collaborazione con il Banco Farmaceutico e MS, Emme Esse. Le sceneggiature sono di Felice Achilli, Paola Marenco e Massimo Morelli, per la regia di Davide Segarra.



“All’inizio di marzo – riprende Poggiali – sono stata catapultata dalla Medicina ad alta intensità ad uno dei tanti reparti Covid dell’ospedale. E una mattina, dopo la vestizione durata almeno 15 minuti, entro nella stanza di un paziente e gli chiedo di mostrarmi la lingua. Lui, in grande imbarazzo, mi dice “no, dottoressa, non ho lo spazzolino”. Ho così capito che gli ammalati venivano tolti dalla loro realtà e trasferiti dall’ambulanza nel reparto Covid, dove i parenti non potevano andare a trovarli, perciò sprovvisti di tutto. Alla fine del turno sono andata a fare la spesa e ho comperato dentifrici, spazzolini, rasoi, saponi, ma, accorgendomi che il bisogno era superiore alle mie risorse, ho provato a chiedere al supermercato se potevano regalare kit d’emergenza per i pazienti. Hanno risposto immediatamente, mettendo a disposizione 400 kit. Il giorno dopo sono tornata da quel paziente, gli ho dato lo spazzolino, l’ho aiutato a lavarsi i denti, che data l’età, saranno stati 3 o 4; però, questo aiuto l’ha completamente cambiato, dalla paura di morire alla percezione di un bene ricevuto. A conoscenza di questi fatti, mio marito ne ha parlato con le infermiere del suo reparto, che ogni mattina gli han fatto trovare sacchetti pieni di dentifrici, spazzolini, salviette. E, così, a dominare non era più il Covid, ma la commozione di fronte ad una grande umanità. Un altro esempio che mi ha fatto molta impressione è stato quello di un paziente uscito dalla terapia intensiva, che, pur miracolato, continuava ad essere triste e cupo. Ho chiamato la moglie al telefono e le ho chiesto ‘ma cos’è che piace a suo marito?’, sentendomi rispondere: ‘la Gazzetta dello Sport’. Perciò, in reparto ci siamo organizzati per portargli ogni mattina la Gazzetta e lui ci accoglieva con un sorriso, riconoscente. Ma tutti questi piccoli miracoli non si sono limitati ai pazienti, accadendo anche con i colleghi, arrivati da ogni dove, con specializzazioni le più diverse. Eppure, abbiamo lavorato benissimo insieme, sono nati dei rapporti d’amicizia che ancora continuano; perciò, nessuno aveva fretta di scappare dal pericolo, dopo il turno.



Quando il reparto è tornato alla normalità, abbiamo fatto un aperitivo, condividendo un momento di festa, non perché era finito il buio, ma perché avevamo vissuto qualcosa all’altezza del desiderio, non riducendoci alla paura, alla stanchezza, al non volersi mettere in gioco. Perciò, la mia preghiera – ha concluso Poggiali – è che il seme gettato possa portare nuovi frutti”.

I 42 minuti del documentario sono pieni di testimonianze come quella di Federica Poggiali, raccontate da professionisti del livello di Emanuele Catena, direttore di Anestesia e rianimazione dell’Ospedale Sacco di Milano, trasformato in reparto Rianimazione Covid, Cosimo Iacca, caposala della Neurorianimazione del San Gerardo di Monza, Eleonora Beretta, caposala del reparto di Malattie infettive del San Gerardo di Monza, Luisa Chiappa, cardiologa all’Ospedale di Desio, e Amedeo Capetti, responsabile degli ambulatori post Covid dell’Ospedale Sacco di Milano.



E particolarmente toccante è il racconto della cardiologa Luisa Chiappa, che venerdì 11 marzo 2020, alle 9.30, si è trovata di fronte alla richiesta di svuotare il reparto di cardiologia e unità coronarica entro 4 ore, per far posto ai pazienti Covid. 

“Nell’arco di poche ore – ricorda Chiappa – chiamando altri ospedali, residenze e strutture, abbiamo svuotato il reparto e alle 16.30 sono iniziati gli arrivi degli ammalati Covid, tutti con la ventilazione meccanica, che sono proseguiti per tutta la notte. Non avrei mai pensato possibile cambiare così radicalmente nella stessa giornata, da cardiologia a reparto Covid. All’inizio ha prevalso la paura, lo sgomento, soprattutto di non sentirsi in grado di aiutare quelle persone. Al mattino, arrivando in macchina all’ospedale, piangevo e mi dicevo ‘ma dove sto andando? Non è possibile, non ce la faccio’. Però, nonostante i pianti, poi stavo bene in reparto e avevo la percezione chiarissima che non volevo essere altrove, volevo andare tutti i giorni lì, con la fatica, l’insicurezza. Tutto ciò, insieme alla paura, mi ha dato tanta serenità. E tutti i colleghi, medici e infermieri, hanno fatto a gara nell’aiutarsi, nel sostenersi, nel voler fare i turni doppi, perché ci sentivamo responsabili anche dei colleghi; perciò, si pensava, ‘non la lascio da sola nel turno di lavoro’, raddoppiando tutti i turni, anche le notti, per sentire vicina la presenza di una persona amica. Del resto, in quel periodo non si poteva andare a messa e, perciò, alla celebrazione di Pasqua in ospedale ho capito cosa vuol dire rinascere ad una vita nuova, ad un modo nuovo di curare: sono stata rimotivata come medico. Mi sentivo privilegiata in ospedale. È stato un periodo molto ricco, pur piangendo tutte le mattine. Queste cose non vanno perse”.

È proprio per questo motivo che Paola Marenco, ematologa, già responsabile del Centro trapianti di midollo dell’ospedale Niguarda di Milano e ora in pensione dopo 40 anni di attività, ha voluto realizzare il documentario in occasione del Meeting 2020, special edition, video così significativo rispetto al titolo della manifestazione riminese. “Perché, quando chiamavo i miei amici in prima linea, che correvano, che non dormivano, che non andavano a casa, che non potevano vedere i familiari, che non avevano più né giorno, né notte, di fronte ad una malattia sconosciuta, avevo il desiderio che mi raccontassero ciò che vivevano, ma ancor più di capire perché ce la facevano, perché ogni giorno tornavano a lavorare. E devo dire di essermi commossa quando raccontavano magari un piccolo fatto della loro giornata, magari dentro le lacrime, ma che li faceva ripartire, perché erano stupefatti da ciò che accadeva. Perché si vive per ciò che accade ora, inatteso e ti stupisce. Ed è così anche per noi, ogni giorno. Perciò abbiamo desiderato di rendere partecipi altri, perché la Bellezza vera cambia le persone e non va persa e vogliamo mettere un piccolo mattone per non perderci questa Bellezza, per partire da lì, per non perderci un nuovo modo di curare, da parte di tutti”.

Ed è la stessa Marenco che nel documentario ha voluto le immagini dei bellissimi mosaici di Ravenna, “per il contraccolpo che hanno suscitato in me quando ho avuto l’occasione di leggere il libro Il Vangelo secondo Ravenna di André Frossard, che commenta quei mosaici, perché, come Dante, anche Frossard è stato profondamente toccato dalla Bellezza di ciò che lui chiama ‘il segreto di Ravenna’. Vi ha trovato raffigurato quel mondo di luce che l’ha imprevedibilmente abbagliato e trasformato. Un mondo finalmente riconciliato, perché lì, cielo e terra, gioia e sacrificio sono una cosa sola. Un mondo di luce che vince le tenebre e ridesta nell’uomo la speranza e l’amore. Basta pensare che persino l’Arcangelo Michele non porta la spada e non c’è il drago, perché il male è stato riassorbito da quel bene che riempie l’universo. Quei mosaici non sono stati realizzati in un tempo tranquillo. All’inizio del V secolo dopo Cristo, a Ravenna sono passati vari popoli barbari e la situazione dell’ultimo impero romano era certamente peggio della situazione che viviamo oggi. Ed è quindi sotto il martellare delle armi che è stata realizzata quella incredibile Bellezza. Nel documentario – conclude Paola Marenco – compaiono questi mosaici non per ridurre o sminuire la drammaticità di ciò che è successo nei mesi scorsi. Infatti, come già a Ravenna, anche i fatti raccontati dal documentario, accaduti durante il periodo Covid, rimarranno nel cuore della storia per una Bellezza eterna”.

Il documentario è disponibile nel sito internet del Meeting 2020, nella sezione Cura e Salute, ma anche nella Home page dell’Associazione Medicina e Persona.