Joseph Weiler, docente di legge nella NYU Law School e Senior Fellow presso il Center for European Studies di Harvard, è una presenza ormai nota e affezionata al Meeting di Rimini. Quest’anno è stato proprio lui a discutere il titolo del Meeting, “Privi di meraviglia restiamo sordi al sublime”, una frase del filosofo ebreo Abraham Joshua Heschel, insieme a Bernard Scholz, presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli.



Sembra in gioco una conoscenza “più vera” della realtà, o quantomeno il nostro rapporto con qualcosa (sub–limen) che “sta sotto” le “soglie più alte”. Di che cosa stiamo parlando? di Dio? o di cos’altro?

Il “meraviglioso” e le “meraviglie” sono intorno a noi, ne siamo circondati. Non c’è nulla di mistico o “segreto” in loro. Dio non gioca a “nascondino” con noi.



Julián Carrón ha messo da tempo al centro dello sua riflessione l’esperienza dello stupore, strettamente legata alla meraviglia. Gregorio di Nissa disse che “I concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce”. Una frase che ci mette a disagio. Lei che ne pensa?

Carrón ha ragione: la bellezza e il meraviglioso sono negli occhi di chi guarda. Dobbiamo solo insegnare a noi stessi ad osservare e capire. Quindi sì, è alla portata di ciascuno di noi. Possiamo conoscere e di conseguenza farne esperienza.

Viviamo nell’epoca del Nulla, quella in cui tutte le ideologie sembrano non inesistenti, ma superate. Che cosa ci dice la frase di Heschel in questo tempo che viviamo?



Non sono affatto d’accordo che stiamo vivendo in un’epoca di Nulla. Come può un cristiano dire una cosa del genere? Significa quello che dice: nella nostra esistenza quotidiana se apriamo gli occhi osserveremo la meraviglia che ci permette di apprezzare ciò che trascende il quotidiano.

Ha senso dedicarsi al “sublime” quando il senso della precarietà della vita, a causa di una pandemia mondiale, e con essa la morte, si sono fatti più vicini?

Come ho argomentato nella mia conferenza, è proprio di fronte alla precarietà della vita, all’imprevedibilità della natura e alla morte che il meraviglioso – tutto umano – si rivela e ci permette di intravedere e sperimentare il sublime. Il sublime non è in paradiso. È dentro di noi.

Qual è il lascito culturale di Heschel al pensiero americano, dunque al nostro tempo, a noi?

Heschel è l’espressione più sublime del rapporto di alleanza – quella che don Giussani chiamava presenza – tra l’umano, gli uomini e le donne e l’Onnipotente. L’uomo non è solo (un libro) e Dio in cerca dell’uomo (un altro libro) ma si completano a vicenda, ricordandoci che si tratta di una relazione bidirezionale tra l’ineffabile e il corporeo. C’è qualcosa di più sublime di questo?