Apprendere continuamente che lo spread raggiunga nuovi minimi potrebbe rappresentare uno scontato e passivo esercizio di cronaca finanziaria. Anche la settimana che ci lasciamo alle spalle ha visto nuovamente i fari puntati sul noto differenziale poiché, a tal proposito, il livello tra il nostro Btp decennale e il Bund tedesco ha, con decisione, violato l’area dei 120 punti segnando un ennesimo ribasso fino a quota 116.



Sommariamente si è trattato di una manciata di pochi punti base (in meno) rispetto ai valori medi di questo periodo e, pertanto, il tutto poteva essere archiviato come un poco significativo movimento, ma, solo all’apparenza. Infatti, in corrispondenza di tale “evento”, il più improvvisato pubblico degli investitori si vedeva in obbligo di dover rivestire la carica di giudice (impreparato) e sentenziare versus il nostro titolo domestico a dieci anni: “Non conviene investire su questo tipo di Btp perché rende troppo poco. Meglio il Bot annuale”.



Sicuramente le parole saranno state diverse, ma, la sostanza (ovvero il verdetto) era certamente quello. Alla base di questo errato ragionamento è presente una mancata conoscenza delle dinamiche sottostanti ai singoli strumenti finanziari: in questo caso non si tratta di assenza di educazione finanziaria; qui, purtroppo, ci troviamo di fronte a un’esemplare e comune casistica di soggetti che guardano solo al rendimento. Tutto il resto non conta. Invece, conta, e anche molto.

È vero, nell’arco della trascorsa settimana borsistica si è potuto assistere a un nuovo collocamento di Bot con scadenza annuale (14 marzo 2025) caratterizzato da un rendimento al 3,546% (in rialzo di 2 punti base). Centesimo più, centesimo meno, lo stesso ammontare era stato “prezzato” in occasione del recente minimo dello spread alimentando, quindi, il sopracitato (avventato) giudizio: vale la pena investire a dieci anni se lo stesso rendimento è, qui, pronto, a un anno?



La risposta è sì, ma, non per molti. Prescindendo dall’esito di quest’ultima asta Bot è opportuno partire da una base dati consolidata. Per praticità utilizzeremo i valori di Banca d’Italia che, a inizio mese, ha diffuso i «rendimenti medi lordi dei titoli pubblici a reddito fisso» dove, per la nostra comparazione, sarà sufficiente la sola variazione del cosiddetto RendiBot che, attestandosi al 3,67%, vede una perfetta coincidenza con i rendimenti attuali del titolo Btp a dieci anni. Tralasciando i tecnicismi sulle differenze strutturale tra i titoli zero coupon e tasso fisso, la scelta di coloro che decidono di comprare il decennale tricolore ha come unico obiettivo quello di poterlo vendere prima (molto prima) della naturale scadenza godendo, nel frattempo, sia del rateo maturando (la cedola in corso), sia del significativo rialzo dei prezzi in occasione dei prossimi interventi (rif. taglio dei tassi) di politica monetaria della Bce.

Come si può notare abbiamo parlato di «significativo rialzo dei prezzi», ma, nella pratica, a quanto corrisponde questo potenziale upside? L’unico e immediato riscontro a tale quesito è da ricondurre alla (a molti sconosciuta) duration modificata. Per poter rappresentare al meglio gli effetti di quest’ultima abbiamo utilizzato l’ultimo documento di Banca d’Italia in materia di “Disposizioni di vigilanza per le banche” (rif. 44° aggiornamento del 19 dicembre 2023) che, nella sua interezza, riesce a fornire un intero quadro.

Partiamo dalla definizione: «La duration modificata approssima la sensibilità del valore economico di una posizione ricadente in una fascia rispetto alle variazioni del tasso di interesse di fascia». Lo sappiamo. Inutile sottolinearlo: è troppo tecnico e, pertanto, procediamo con una nostra estrema semplificazione. La duration modificata individua la variazione del prezzo al variare dei tassi di interesse. Bene. Ma di quanto si sta parlando? Sempre consultando il documento di Banca d’Italia si può facilmente arrivare alla possibile quantificazione di questo plus che, nel nostro caso (Btp decennale), corrisponde a un incremento di 8,98 punti in caso di riduzione dei tassi di interesse pari a un punto percentuale.

Ora, svelato l’arcano, risulta molto evidente l’intento di coloro che, non sprovveduti, bensì, alquanto avveduti, hanno scelto la via più lunga. In finanza, molto, troppo spesso, i falsi miti hanno contribuito a scrivere le peggiori pagine della storia economica con un sempre e costante racconto dove: in pubblico ci sono solo investitori truffati, mentre, in privato, si tratta di investitori improvvisati.

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