Chiedete e vi sarà dato; nell’abbondanza. Don Maurizio Patriciello, a seguito dei gravi fatti ai danni delle due dodicenni della sua parrocchia, ha invitato il presidente del Consiglio a rendersi conto in prima persona della realtà di Caivano. Giorgia Meloni non solo è andata ma si è portata dietro tre ministri, il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, il capo della polizia, il prefetto e altre figure istituzionali in ordine sparso. Non si può dire che ieri lo Stato a Caivano non ci fosse.
Questo ci dice due cose. La prima è che la società civile non deve mai avere remore a invocare i livelli più alti delle istituzioni. La seconda è che può succedere che le istituzioni possano effettivamente rispondere a queste richieste.
La giornata, tra ovvie imponenti misure di sicurezza, si è snodata, come era prevedibile, tra incontri, vertici e dichiarazioni ai giornalisti da parte di tutti (Patriciello compreso); riconoscimento del lavoro già fatto e delle tante omissioni risalenti nel tempo (tanto che la Meloni ha parlato senza mezzi termini di “fallimento dello Stato”); consapevolezza di quanto c’è da fare e assunzione pubblica di impegni concreti, anche di una certa importanza. Se questi ultimi saranno mantenuti sarà il tempo a dirlo. Tuttavia quello che emerge dall’iniziativa del parroco di Parco Verde è che il dialogo tra chi opera sul territorio e chi è preposto alle decisioni può e deve esserci.
Nelle “zone franche”, come le ha chiamate la premier, spesso si ritiene che la risposta “militare” sia quella che dà il segnale al territorio che si è “cambiato registro”. L’esperienza ci dice che questa soluzione può essere (ma non è detto) efficace nel breve se non brevissimo periodo, ma nel tempo è destinata a non essere sostenibile. Ad essa si deve affiancare necessariamente una presenza continua fatta di servizi ma soprattutto di attenzione a chi non solo è più debole ma che costituisce la “base” che potrà fare risorgere realtà come Caivano: ragazzi e bambini.
Le sfide sono sempre le stesse per questi territori: combattere la dispersione scolastica, creare luoghi di aggregazione, offrire alternative alla malavita e alla semplice disperazione, attuare le condizioni perché possano essere realizzate nuove occasioni di lavoro. È un investimento di lungo periodo che, però, è imprescindibile.
Mentre la risposta in termini di ordine pubblico è di esclusivo appannaggio dello Stato, la seconda è impossibile senza la cooperazione dei corpi intermedi, che più di ogni altro conoscono il territorio e possono interpretare le sue priorità ed esigenze. La Meloni ha promesso di coinvolgere tutte le associazioni che in questi giorni la hanno contattata per manifestare la loro volontà di essere protagoniste della rinascita di Caivano; così come ha dichiarato di voler richiedere ai propri ministri di essere presenti periodicamente perché ognuno possa “aggiungere il suo pezzo di lavoro”. Se sarà così lo vedremo. Le due realtà però devono camminare insieme e la giornata di Caivano è paradigmatica in questo senso: se non ci fosse stata la “provocazione” di don Patriciello (la società civile), premier e ministri al seguito (politica e istituzioni) non sarebbero mai venuti loro sponte a Caivano.
Il che significa che il dialogo, anche operativo, tra le due componenti è indispensabile perché le acque si smuovano ma soprattutto si possano cogliere nel tempo i frutti che la premier ha promesso. Senza questa collaborazione la società civile è destinata ad essere confinata all’eroica resistenza di qualcuno, e la politica ridotta ai soliti proclami e passarelle; e Caivano costituirà l’ennesima occasione persa. Nella situazione data non conviene a nessuno. Anche perché, magari, in un nuovo contesto si possono creare le condizioni perché una cosa essenziale come il lavoro possa finalmente nascere da una nuova cultura e non più ridotto al pretesto, in sua mancanza, per un sussidio; e questa sarebbe una vera e propria rivoluzione.
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