Prima di lei era toccato, tra gli altri, ad Angela Merkel, al presidente turco Erdogan, al premier spagnolo Pedro Sánchez e pure a Elton John. Ora a cadere nel trappolone di due comici russi è stata Giorgia Meloni. Il 18 settembre scorso (ma il caso è scoppiato solo ieri), nel bel mezzo della trattativa diplomatica con i Paesi africani per arginare gli sbarchi dei migranti, l’entourage della presidente del Consiglio era stato raggiunto dal “presidente della Commissione dell’Unione africana” che chiedeva un colloquio informale. In realtà si trattava dei due burloni di Mosca che si divertono a fingersi chi non sono e a trarre in inganno i leader mondiali, strappando dialoghi telefonici “off the records” destinati poi a essere resi noti per mettere in imbarazzo gli interlocutori.
In realtà nella chiacchierata (in inglese, durata 13 minuti), la Meloni non ha detto niente di particolarmente compromettente. Gli stessi autori della burla telefonica, Vovan e Lexus, hanno confessato di essere stati sorpresi: “Nella maggior parte degli scherzi che abbiamo fatto a dei leader politici, sembravano dei robot, o ChatGpt. Invece Meloni ci è sembrata avere le proprie idee. È vero, non si è accorta dello scherzo, ma ha parlato esprimendo concetti importanti, anche critici rispetto ad esempio ai partner Ue”. Così hanno detto a un giornalista dell’agenzia LaPresse. Ma la Meloni non ha detto nulla che non avesse già dichiarato pubblicamente sui temi di politica estera, dal sostegno all’Ucraina fino al disinteresse dei partner Ue circa la questione migratoria.
Il vero problema della telefonata “fake” non è dunque il suo contenuto. E non è nemmeno il fatto che a ingannare la cerchia meloniana siano stati due russi sospettati di lavorare sottotraccia per la propaganda putiniana: la coppia di comici smentisce di essere contigua ai servizi segreti di Mosca e comunque nessuno può dare credito a due buontemponi. La questione è invece la facilità con cui i più stretti collaboratori della premier sono stati presi in giro. Il responsabile è stato additato nell’Ufficio del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, alla cui testa c’è l’ambasciatore Francesco Maria Talò, 65 anni, diplomatico di lungo corso ed ex rappresentante dell’Italia presso la Nato, in uscita dalla presidenza del Consiglio nelle prossime settimane per questioni di età.
Questa figuraccia dunque riporta l’attenzione sullo staff della Meloni, più volte cambiato in questo anno di governo soprattutto nella parte della comunicazione con l’arrivo e poi il rapido allontanamento di Mario Sechi come capo ufficio stampa, seguito dall’insediamento del sottosegretario Fazzolari a sovrintendere alla comunicazione della premier. La “gestione” della Meloni resta comunque saldamente nelle mani delle sue storiche collaboratrici, la segretaria particolare e braccio destro Patrizia Scurti e la coordinatrice della comunicazione istituzionale Giovanna Ianniello. È di pochi giorni fa il cortocircuito mediatico sulle bozze della legge di bilancio, con un rincorrersi di notizie e smentite che ha creato notevoli problemi alla maggioranza. Sono parecchi i malfunzionamenti da correggere nella macchina comunicativa di Palazzo Chigi. Compresa la scelta della premier di affidarsi a una ristretta cerchia di fedelissimi (e fedelissime) dotati di poteri enormi quanto opachi.
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