Cosa c’entra l’intelligenza artificiale con la transizione energetica? Come al solito, iniziamo a collegare qualche puntino e vediamo di capire quale immagine potrebbe emergere.

Prima parte. La premier Giorgia Meloni nei giorni scorsi ha incontrato nell’ordine:

– Larry Fink (CEO di BlackRock, il più grande fondo di investimento del mondo, ovviamente USA), con il quale ha discusso di possibili investimenti in Italia nei data center per l’IA, ma anche nelle infrastrutture energetiche e nelle reti di trasporto. Tutto molto coerente con quanto Fink ha scritto nella sua lettera annuale agli investitori, circa la direzione e le prossime priorità di BlackRock: fondi pensionistici e iniziative a supporto della crescita, ossia infrastrutture, soprattutto infrastrutture energetiche, anche attraverso l’acquisizione di società che le costruiscono, le possiedono, le gestiscono. Per generare “opportunità di investimento nelle infrastrutture che mantengono le luci accese, gli aerei in volo, i treni in movimento e il servizio di telefonia cellulare con il massimo numero di tacche”, scrive Fink nella lettera.



– Brad Smith (CEO di Microsoft), con il quale ha discusso dell’intenzione del colosso di Redmond di investire oltre 4 miliardi di euro nel Nord Italia in data center, AI e cloud computing.

Seconda parte. Sembra che Fink-BlackRock abbia incontrato non solo la premier ma anche il CEO di ENEL, Flavio Cattaneo, per iniziare a perseguire quanto dichiarato alla premier: sarebbe stato espresso un interesse a rilevare alcuni siti e impianti di ENEL in dismissione, come le centrali a carbone di Brindisi e di Civitavecchia. Qualcosa che rappresenta un problema oggi per la utility italiana, vista la politica energetica nostrana che aborre il carbone (a differenza della verdissima Germania, che invece ha riaperto vecchie centrali a lignite), ma che può rappresentare un asset strategico per chi vuole installare grandi centri di elaborazione dati: il sito già industrializzato, i servizi elettrici di grande potenza già disponibili, magari la possibilità di riattivare le centrali a carbone, in futuro, oppure installare nuove centrali energetiche, sempre per alimentarli.



Terza parte. L’opzione nucleare. Non deve sorprendere che sia parte del puzzle, anzi della strategia. Per due facili motivi: i centri di elaborazione dati per l’IA sono altamente energivori e necessitano di elettricità, sia per l’alimentazione sia per il raffreddamento, in modo stabile e continuo, per tutte le ore del giorno e dell’anno, possibilmente energia a costi contenuti e decarbonizzata. Caratteristiche che può garantire contemporaneamente solo il nucleare. Tre indizi a supporto. Il mese scorso la statunitense Constellation ha firmato con Microsoft un accordo ventennale di fornitura esclusiva di elettricità per i loro data center, attraverso la riapertura della Unità 1 della centrale nucleare di Three Mile Island (da 837MWe), fermata nel 2019 per motivi economici. Il sito è tristemente famoso per il grave incidente del 1979 all’Unità 1. E in precedenza, in marzo, Amazon siglava un contratto per 960MWe di potenza nucleare dalla centrale nucleare di Susquehanna in Pennsylvania. Infine, la European Data Centre Association (EUDCA) si è iscritta alla EU SMR Industrial Alliance, per la realizzazione di piccoli reattori modulari in Europa. Per dare un’idea della loro fame di elettricità, durante la riunione di insediamento dell’alleanza, a Bruxelles nel maggio scorso, il portavoce ha “allertato” l’assemblea che il loro fabbisogno stimato al 2050 sarà pari a circa 100GWe (oggi, l’intera potenza nucleare installata in Europa è di circa 97GWe), essenzialmente per via dei consumi degli algoritmi per l’IA. Per avere un’idea: una singola richiesta a ChatGPT consuma circa 10 volte di più di una tipica ricerca su Google, e generare un’immagine con l’IA consuma più di 60 volte l’energia elettrica che serve per generare un testo.



La valenza strategica e lo stretto legame tra IA-energia-territorio-infrastrutture-sicurezza è dimostrato, tra gli altri, dall’interesse di Abu Dhabi ad offrirsi a livello internazionale quale partner e luogo privilegiato per ospitare grandi data center. Gli Emirati Arabi Uniti hanno completato di recente 4 grandi reattori nucleari (da 1400MWe l’uno) e ne stanno pianificando il raddoppio, ma installano anche 1000MWe (di picco) all’anno di fotovoltaico e stanno costruendo il più grande centro di energy storage a batterie al mondo, un moloch da 400MWe.

E quindi? Quale immagine potrebbe apparire sul foglio, ora?

Quella di una IA che potrebbe rivelarsi quale variabile imprevista che fa saltare – o per lo meno contribuisce a mettere in crisi – l’attuale idea europea di transizione energetica, in termini sia di dimensioni delle nuove potenze da installare (i consumi primari di energia sono in continua decrescita dal 2006, l’Europa vorrebbe consumare sempre di meno, l’IA andrebbe in piena controtendenza), sia di tempi (la richiesta di nuovi servizi legati all’IA è esponenziale e quindi la necessità di alimentarli, con tempistiche nell’ordine di anni non di decenni), sia di tecnologie (vista la necessità di potenze elevate disponibili 24/7/365, solo i fossili e il nucleare sembrano compatibili, a costi competitivi).

Un’idea – quella della transizione energetica europea – messa in crisi di recente anche dal rapporto Draghi, il quale ha affiancato all’aspetto ambientale quelli della competitività industriale e dell’indipendenza e sicurezza.

L’IA promette (o minaccia, a seconda dei punti di vista) di cambiare pressoché tutti gli aspetti della nostra vita: dal lavoro alla privacy, dalla sanità all’educazione, dalla difesa all’industria. Tanto che qualcuno reputa non più così fantascientifici scenari simili a quelli di Matrix, Terminator, Io Robot.

L’Europa è indietro. Molto indietro. A livello pubblico, il programma Europa Digitale finanzierà progetti di IA con 2,1 miliardi di euro. Ma negli ultimi 10 anni, dal 2013 al 2023, gli USA hanno investito di soli fondi privati oltre 335 miliardi, la Cina 103, UK 22, Israele quasi 13. Nell’UE, se sommiamo Germania, Francia e Svezia, arriviamo a 20.

Su questo terreno molto probabilmente si giocheranno i destini economici, industriali e anche sociali del futuro, a partire già da quello prossimo.

Le iniziative della presidente del Consiglio cercano di far recuperare terreno all’Italia su uno dei settori più critici e più strategici, ma ospitare data center in Italia significherà anche essere in grado di fornire grandi quantità di energia in modo continuo e stabile e a costi competitivi.

Noi abbiamo i costi dell’elettricità tra i più alti in Europa, c’è molto da lavorare. Il nucleare potrebbe aiutare tutti gli energivori, non solo i data center. Ma interessa?

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