Il controllo dei flussi migratori è una delle priorità dichiarate dal Governo Meloni e il Paese da cui i migranti partono per arrivare sulle nostre coste, dopo la Tunisia, è soprattutto la Libia, in particolare la Cirenaica, regione che attualmente è sotto il controllo del generale Haftar. Per questo l’incontro del presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni con Haftar a Roma potrebbe rappresentare un momento importante nella strategia dell’Esecutivo su questo tema.



L’interlocutore, come spiega Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e InsideOver, esperto di geopolitica, è un uomo astuto, capace di fare i suoi interessi e in grado di costruire un suo esercito con il quale ha tentato di salire al potere anche a Tripoli, per controllare tutto il Paese. Un personaggio coinvolto nel traffico dei migranti, ma con il quale bisogna fare i conti se si vuole avere voce in capitolo nel territorio libico.



Haftar finora non è stato il nostro interlocutore privilegiato in Libia. Anzi, è quello con cui abbiamo avuto meno rapporti. Come mai ha incontrato la Meloni?

L’Italia riconosce unicamente le istituzioni stanziate a Tripoli, che sono a loro volta riconosciute da Onu, Usa e Unione Europea. Però ci sono due fatti importanti da tenere in considerazione. I rapporti informali con Haftar non sono mai stati interrotti: vista la sua influenza sul dossier libico, una interlocuzione c’è stata nell’era di Gentiloni, poi in quella di Conte, fino ad oggi. L’altro elemento è che Haftar ha sottoscritto una tregua con l’attuale premier libico: non sono così ostili come lo erano negli anni precedenti. Per questo l’Italia ha potuto invitarlo a Roma.



Di cosa si è parlato nell’incontro?

Di immigrazione naturalmente. Buona parte dei migranti che partono dalla Libia lo fanno dalle regioni controllate dall’esercito di Haftar.

Ci sono richieste esplicite nei suoi confronti per controllare le partenze o accordi possibili in questo senso?

A livello ufficiale è emerso poco, anche perché l’incontro di oggi della Meloni non era con un capo di Governo. È stato un incontro informale, interlocutorio, per capire la situazione nell’Est della Libia, dove le partenze aumentano giorno dopo giorno. Sicuramente, così come ha fatto con il Governo di Tunisi e quello di Tripoli, l’Italia ha chiesto ad Haftar di controllare meglio la situazione e di impedire ulteriori partenze, specialmente in vista dell’estate. Con quali mezzi e accordi non è dato sapere, ma non è difficile pensare che il generale abbia chiesto mezzi e soldi.

Quale ruolo ha giocato finora Haftar nel flusso di migranti tra Libia e Italia?

È conclamato che c’è lo zampino di Haftar nelle partenze: è impossibile che i trafficanti attuino un business nell’Est della Libia senza che Haftar lo permetta. Però va anche detto che alcuni gruppi affiliati al Libian National Army, l’esercito di Haftar, hanno attivamente partecipato al traffico di migranti sviluppatosi dalla Cirenaica. Il ruolo di Haftar è indiretto ma anche diretto.

È un po’ la storia dei nostri rapporti degli ultimi anni con la Libia: ancora un volta dobbiamo chiedere di controllare il flusso dei migranti a chi è coinvolto in quel traffico?

Haftar avrà pensato: “Con Erdogan sta funzionando, con Tripoli e Tunisi sta funzionando, perché non devo partecipare anche io alla festa?”

Ma chi è Haftar, da dove viene, chi lo sostiene?

È innanzitutto un uomo che risale al tempo di Gheddafi. Era un ufficiale molto vicino al rais, tanto che quest’ultimo si è servito di lui per la guerra tra Libia e Ciad negli anni 80. Durante questa guerra viene fatto prigioniero e molti fonti di sicurezza pensano che pur di essere liberato abbia cambiato versante, schierandosi contro Gheddafi. A quel punto viene condannato a morte in contumacia in Libia e ripara negli Usa. Vive dai primi anni 90 al 2011 in Virginia, non lontano dalla sede della Cia. Assume anche la cittadinanza americana.

E quando cade Gheddafi cosa succede?

Torna in Libia e cerca di imporsi come leader militare. Il fatto di essere stato un oppositore, anche se solo in un secondo momento, ho giovato molto alla sua immagine. Riesce a mettere insieme diverse milizie e fonda il Libian National Army (Lna), che nelle sue intenzioni sarà il futuro esercito libico.

Chi lo appoggia?

L’Egitto perché ha interesse a sigillare i confini con l’Est della Libia, ma anche gli Emirati Arabi Uniti. Riceve soldi e mezzi, i suoi miliziani vengono formati. Si crea una sfera d’influenza personale in contrasto con Tripoli. Dal 2016 in poi viene appoggiato anche dalla Russia e infatti da quel momento ci sono anche militari della Wagner a suo supporto. Viene appoggiato anche da mercenari sudanesi e del Ciad.

Come mai non è riuscito a prendere il potere anche a Tripoli?

Il Governo di Tripoli, sostenuto dalle milizie locali, si era appoggiato alla Turchia. I rifornimenti turchi hanno impedito ad Haftar di accedere a Tripoli. Ha mantenuto comunque un ruolo importante perché controlla il 60% del Paese.

I suoi rapporti con gli occidentali storicamente come sono?

Ha cercato anche il sostegno occidentale ponendosi come esponente anti-islamista: ha sempre promesso una Libia laica, liberata dai Fratelli musulmani e dall’Isis. Si è fatto la nomea di uomo forte, laico, il classico rais con cui l’Occidente può avere a che fare. È un personaggio importante in Libia, anche se non centrale.

Ora si torna a parlare di nuove elezioni per realizzare le quali l’Italia si è detta pronta a dare il proprio sostegno all’Onu. Ci sono veramente le condizioni per tenerle?

È sempre un azzardo. La Libia è un Paese senza una Costituzione, con istituzioni parlamentari molto datate: il parlamento di Tobruk, ad esempio, è stato eletto nel 2014. Le istituzioni hanno scarsa legittimità. In più il Paese rimane in una condizione di sicurezza molto precaria: nei giorni scorsi a Zavia, città a Est di Tripoli, sono scoppiati combattimenti molto feroci tra bande rivali che si contendono il territorio. Rimane uno Stato che non è più uno Stato. Il riavvicinamento fra Tripoli e Haftar è un buon segnale, perché spegne la principale fonte di tensione, però ci sono anche tanti altri fuochi non spenti.

Dunque votare sarebbe prematuro?

La Libia sarebbe l’unico caso in cui prima si fanno le elezioni e poi lo Stato, invece dovrebbe essere il contrario. In un Paese così lacerato le elezioni possono diventare fonte di tensione: lo stesso scontro fra Tripoli e Haftar è nato dopo le elezioni del 2014. L’Italia può recitare un ruolo importante, ma deve avere ben chiaro che la stabilità della Libia non per forza passa da elezioni, ma da un percorso che gradualmente prima costruisce uno Stato.

Nelle stesse ore dell’incontro Meloni-Haftar il ministro francese dell’Interno Darmanin ha accusato l’Italia di non essere capace di controllare i flussi migratori. Perché proprio ora?

I francesi hanno preso due piccioni con una fava: Macron non riesce a far passare la sua legge sull’immigrazione perché non ha la maggioranza in Parlamento, gli fa molto comodo attaccare un Governo ritenuto molto vicino alla Le Pen, sua avversaria interna. Dall’altro lato mette in imbarazzo il Governo italiano proprio mentre sta incontrando Haftar. I francesi un appoggio non ufficiale ma ufficioso al generale lo hanno spesso dato.

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