“Vogliamo aiutare i paesi africani a diventare più ricchi”. Giorgia Meloni è in Libia, accompagnata dal ministro degli Esteri Tajani e da quello dell’Interno Piantedosi. Due gli obiettivi della missione della premier: il primo è la firma di un nuovo accordo sulle importazioni di gas naturale, in piena continuità con quanto iniziato dal precedente governo Draghi. A firmare l’intesa, del valore di 8 miliardi di dollari, l’Eni e la libica Noc: un passo in più verso l’indispensabile indipendenza energetica dalla Russia di Vladimir Putin.
Il secondo motivo della trasferta libica della premier è proseguire nella costruzione di quello che Meloni ha definito “piano Mattei” per l’Africa, che prevede maggiori aiuti economici e al tempo stesso controlli più stringenti per i Paesi, come la Libia, da cui partono i migranti in arrivo sulle nostre coste. L’obiettivo della premier è quello di recuperare quella centralità che ormai da anni l’Italia ha perso in un quadrante geografico, come quello del Maghreb, in cui da sempre il nostro Paese ha avuto un rapporto privilegiato.
Le politiche estere sbagliate di governi precedenti hanno notevolmente indebolito il nostro ruolo in queste zone strategiche per quanto riguarda le forniture energetiche e i flussi migratori. Il Mediterraneo è una zona sempre più strategica nel nuovo contesto globale. E non è un caso che il leader turco Erdogan sia stato lestissimo ad approfittare delle debolezze della politica estera europea, per allargare la sfera di influenza della Turchia.
Prima del conflitto anche la Russia di Putin era entrata in gioco nel gestire la delicata situazione libica, mentre la Cina da anni prosegue una politica neocoloniale in tutta l’Africa, ricchissima di materie prime.
Il successo della spedizione italiana in Algeria con la chiusura di importanti accordi è stato certamente l’inizio di quella strategia con la quale la premier ha in mente di rimettere, grazie alla rievocazione del vecchio piano Mattei, l’Italia al centro della scena africana. Nel 1955, l’Italia si propone agli Stati Uniti per un ruolo primario nell’alleanza atlantica per i rapporti con i Paesi del bacino del Mediterraneo e nel 1957 viene ideato il piano Pella, dal nome dell’allora ministro degli Esteri italiano Giuseppe Pella, che prevede aiuti dell’Occidente ai Paesi del Mediterraneo pagati dagli Stati Uniti tramite i rimborsi dovuti per i prestiti del piano Marshall.
L’Italia per ragioni storiche, culturali e soprattutto geografiche è al centro del Mediterraneo e, volenti o nolenti, le relazione con il Nord Africa devono essere al primo punto della nostra politica estera. Questa situazione c’è sempre stata e la guerra in Ucraina, che ha scatenato la corsa ha diversificare ulteriormente le nostre fonti di approvvigionamento energetico, non è che un catalizzatore di un’esigenza che l’Italia ha sempre sentito come propria.
La visita in Libia prevedeva l’incontro, a Tripoli, con i rappresentanti del governo di unità nazionale guidato da Abdul Amid Dbeibah. Incontro non facile in un Paese che di governi ne ha praticamente due. Non è un caso che Fathi Bashagha, primo ministro nominato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk (ma non riconosciuto dalla comunità internazionale) e vicino al generale Khalifa Haftar, si sia lamentato per il faccia a faccia di Meloni con quello che ha definito un “esecutivo scaduto”.
La capitale Tripoli ed il nordovest sono controllati dal Governo di unità nazionale (Gnu), attualmente guidato del primo ministro Abdul Hamid Dbeibah. Il governo di Tripoli è riconosciuto a livello internazionale e occupa il seggio della Libia alle Nazioni Unite e all’Unione Africana, ma è meno unito di quanto sembri. Dbeibah è una figura politica che rappresenta un compromesso fra i poteri forti dell’ovest, che includono le milizie islamiste di Tripoli e Misurata, e interessi economici legati a reti di clientelismo.
L’est e vaste zone della Libia centrale sono nominalmente sotto l’autorità della Camera dei rappresentanti, la legislatura unicamerale della Libia, che nel marzo 2022 ha creato un governo parallelo con Fathi Bashagha come primo ministro.
Il governo attuale di Tripoli ha l’appoggio militare della Turchia. La Russia, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti sono invece i principali alleati di Haftar. Insomma, una situazione che sembra ancora assai instabile e in divenire. Ed è per questo che la missione della Meloni oltre ad avere finalità economiche (riuscire ad aumentare come già fatto in Algeria le forniture verso il nostro Paese e l’Europa) ha certamente anche un forte rilievo politico, fare da mediatore per normalizzare la situazione dei flussi migratori che proprio dai porti libici partono in gran parte verso le nostre coste.
“La stabilizzazione della Libia è cruciale ed è al centro di tutti i nostri colloqui con i Paesi che hanno influenza sulla regione per arrivare ad elezioni entro il 2023 sotto l’egida Onu”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, aggiungendo che il Mediterraneo è snodo centrale della politica estera italiana, crocevia millenario di rapporti. “Il governo italiano punta ad essere sempre più protagonista, altrimenti i vuoti lasciati saranno colmati da altri, con questo obiettivo si inquadrano le missioni mie e della premier con nuove tappe a breve in tutto il Mediterraneo”.
Insomma il chiaro intento della premier è quello di utilizzare a suo vantaggio le attuali difficoltà in Nordafrica del presidente francese Macron (la Francia fin dai tempi di Mattei è sicuramente il rivale più interessato alla zona del Maghreb) e del premier spagnolo Sanchez, dovute, nel caso della Spagna, alla rottura diplomatica del Paese iberico proprio con l’Algeria qualche mese fa.
Tutto ciò ha già permesso al nostro Paese di rafforzare le nostre relazioni con Algeri e di incrementare le forniture con nuovi quantitativi di gas.
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