La diversa posizione di Matteo Salvini e della Meloni sugli aiuti militari all’Ucraina (e in generale nei rapporti verso la NATO e l’attuale inquilino della Casa Bianca) va approfondita seriamente e non solo in chiave di reciproca polemica o letta come una divergenza di governo, oppure per una semplice ricerca di visibilità del leader leghista.
Premesso che divergenze analoghe ci sono anche a sinistra e spaccano profondamente lo stesso Pd – come ben sottolineato dalla candidatura europea di Marco Tarquinio – il problema è che Giorgia Meloni è forse in parte “obbligata” a tenere certe posizioni che non credo condivida fino in fondo.
In questo senso Matteo Salvini è molto più libero della premier di poter esprimere un’opinione, comunque profondamente radicata nel centrodestra, sulla inopportunità di essere (o almeno apparire) eccessivamente al traino degli USA e della NATO, in un elettorato da sempre insofferente verso questi “poteri forti” e i loro condizionamenti.
Volenti o nolenti, l’Italia non può – parliamoci chiaro – tenere ufficialmente posizioni molto diverse, anche perché la Meloni era vista con estremo sospetto al suo debutto internazionale, ma ha poi conquistato sorrisi (non si sa quanto sinceri) e stima personale, nonostante le sue opinioni politiche di partenza, proprio dando garanzie su questi temi e venendo cos’ accettata quindi nel “salotto buono” dei cosiddetti “Grandi”.
La Meloni ha quindi pochi margini per iniziative e posizioni autonome, anche se ufficialmente l’Italia ha subito detto no a posizioni estreme – come quella di Macron – ed insiste a parlare di armi “difensive” e di aiuti umanitari.
Fosse libera dai ruoli internazionali, forse la stessa Meloni terrebbe posizioni simili a Salvini, perché tradizionalmente la destra è sempre stata filo-atlantista ma, nello stesso tempo, critica sulle eccessive ingerenze USA non solo nella politica italiana, ma anche nella cultura e nell’economia, lamentando da decenni la “colonizzazione” americana del nostro Paese. Caduto il rischio sovietico e salendo l’influenza diretta dei vertici europei, la stessa critica da parte di tutta la destra è progressivamente salita verso Bruxelles, anche se con diverse gradazioni di euroscetticismo.
Il nodo del problema è – soprattutto con l’Europa – di carattere economico: la BCE può strangolare in pochi giorni la nostra economia attuando o meno politiche monetarie restrittive e letteralmente ricattando l’Italia, visto il suo grande debito pubblico. Il tacito accordo è che finché l’Italia resterà “in linea” le minacce non ci saranno, altrimenti… chissà.
Da qui a votare a favore della von der Leyen, però, ce ne passa e FdI deve pensarci bene prima di farlo, o potrebbe poi non più giocare una carta critica verso la presidente, oltre a dover fare i conti con il gruppo conservatore sempre più critico, vista l’esplicita volontà di emarginazione da parte dei socialisti e liberali europei.
È anche interessante sottolineare che, se si guardano i sondaggi, buona parte degli elettori di Fratelli d’Italia su questi temi si sente più vicina a Salvini, e “di pancia” mal sopporta i poteri forti internazionali.
Per contro gli stessi sondaggi indicano però nel ministro della Difesa, il “falco” Crosetto, quello più apprezzato, in contraddizione con il dato di netta disaffezione degli italiani verso la guerra in Ucraina e le relative forniture belliche, non gradite da oltre il 60% degli intervistati.
Ecco perché l’incrocio di queste politiche impongono grande prudenza alla Meloni, per non essere emarginata e far così emarginare l’Italia, che in Europa si trova nella situazione di dover fare i conti con una maggioranza potenzialmente ostile, ma nello stesso di non scontentare troppo il proprio elettorato.
Certamente le cose cambierebbero con Trump alla Casa Bianca, ma anche in questo caso la Meloni non può prendere ora nei suoi confronti le posizioni esplicite di Salvini, per bon ton internazionale e perché il governo italiano non può intromettersi ufficialmente nel voto americano.
Al di là dei proclami e delle dichiarazioni ufficiali, l’Italia comincia però a marcare qualche differenza con gli alleati, per esempio nella fornitura non generalizzata di armamenti all’Ucraina, ed è sicuramente pronta ad afferrare qualsiasi spiraglio di pace. In questo senso, per esempio, è un segnale che la Meloni non abbia criticato la visita di Orbán a Mosca e non stia certo chiedendo la rimozione dell’Ungheria dalla presidenza pro-tempore dell’Unione.
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