Il riequilibrio dei rapporti commerciali con la Cina sembra essere stato il punto chiave dell’incontro tra il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, e il Presidente cinese Xi Jinping. La presenza dell’Amministratore delegato di Cdp, Dario Scannapieco, in qualche modo “capofila” del sistema economico e industriale italiano conferma la natura industriale della discussione; Cdp in questo senso occupa un ruolo centrale nel sistema italiano.
Un nuovo ruolo della Cina nei commerci e nella manifattura è in cima all’agenda non solo dell’Italia ma dell’Occidente e in primis degli Stati Uniti. La Cina, per almeno due decenni, ha assorbito quote crescenti di manifattura globale senza che nessuno avesse nulla da obiettare. Per una generazione la Cina ha rappresentato un’enorme forza deflattiva che ha consentito politiche monetarie espansive, senza inflazione, e permesso costi più bassi per un’infinità di prodotti di largo consumo e margini di profitto più alti. Il conto è però oggi evidente in termini di perdita di capacità produttiva, di fabbriche e di debito occidentale accumulato per comprare beni cinesi.
L’Occidente, questo è certamente il caso americano, vuole rimpatriare capacità, chiudere gli squilibri commerciali e questo significa entrare in “rotta di collisione” con un’economia, quella cinese, che negli ultimi tre decenni si è sviluppata diventando la fabbrica del mondo. Nel caso italiano o la Cina esporta di meno oppure compra più prodotti dall’Italia, ma in questo secondo caso si pone il problema di riequilibrare in favore dei consumi un’economia basata sugli investimenti. È difficile immaginare risultati nel breve periodo e questa trasformazione richiede tempi lunghi forse incompatibili con la fretta che sembra avere “l’Occidente”. Il memorandum di collaborazione industriale firmato ieri tra Italia e Cina comprende “settori industriali strategici come la mobilità elettrica e le rinnovabili”. Questa attenzione ci aiuta a capire quale sia la sfida per l’Italia. La Cina ha una leadership globale sia sulle auto elettriche che su tutta la filiera su cui si innesta lo sviluppo delle rinnovabili: batterie, metalli, software per la gestione delle batterie, pannelli solari, pale eoliche e infine rapporti consolidati con i Paesi produttori. Sostituire la Cina in tempi brevi è impensabile e questo significa, in caso di rottura dei rapporti, incassare un’improvvisa scarsità di beni e prezzi più alti
Non è solo la Cina a essere minacciata nel suo modello economico da una guerra commerciale ma anche “noi”. Per l’Occidente e per l’Italia il riequilibrio dei rapporti commerciali significa gestire la pressione interna sui costi perché gli stessi beni prodotti in Cina costano molto di meno e nel breve è impossibile sostituirli.
Il Paese più convinto di questo riequilibrio sono gli Usa ma Washington, a differenza dell’Italia, ha una sua valuta e la possibilità di modulare a piacimento i dazi. Questo non vale per l’Italia la cui valuta è l’euro e i cui dazi vengono decisi a Bruxelles in un’ottica che, idealmente, dovrebbe contemperare le esigenze di tutti. Il rimpatrio delle produzioni può essere tanto più veloce e tanto più indolore per i consumatori e i prezzi quanto più le imprese possono godere di costi energetici bassi. Questa è la ragione per cui gli Stati Uniti non si imbarcheranno mai, qualunque partito vinca a novembre, nella transizione energetica europea. Per l’Europa, in un mondo ideale, i tempi del riequilibrio commerciale europeo con la Cina possono coincidere, senza mettere in conto traumi economici e sociali difficili da quantificare, solo con la fine della transizione. Un sogno per cui, nella migliore delle ipotesi, serve una generazione; realisticamente, immaginando una tecnologia che risolva il tema dell’intermittenza delle rinnovabili, due. Sempre ammesso che in questo lasso di tempo l’Europa continui ad avere a disposizione le risorse che ha ora.
Qual è quindi il senso dell’incontro di questi giorni? Il senso di questo incontro si trova nelle parole di Xi Jinping: “Si spera che la parte italiana comprenda e sostenga la filosofia di sviluppo della Cina e svolga un ruolo costruttivo nello spingere la Cina e l’Europa a rafforzare il dialogo e la cooperazione e a promuovere uno sviluppo positivo e stabile delle relazioni Cina-Ue”. La speranza cinese è che l’Italia si faccia carico di un approccio più equilibrato sulle esigenze di riequilibrio dei rapporti commerciali. Un approccio ostile è un rischio sia per l’economia e la tenuta sociale cinese, sia per quelle italiane. Se l’Europa, e l’Italia, volesse o dovesse seguire i ritmi americani dovrebbe, come minimo, ripensare da cima a fondo la propria strategia energetica per due ragioni. La prima è che l’Europa si troverebbe davanti una Cina ostile e una guerra e “dietro”, dall’altra parte dell’Atlantico, un partner strategico deciso a rimpatriare capacità a ogni costo anche a discapito dell’industria europea. La seconda è che l’esplosione dei prezzi è, da sempre, non solo una questione economica ma anche sociale.
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