Sono rivali per l’aggiudicazione della prossima Expo 2030: l’Arabia Saudita, che avrebbe incassato anche l’appoggio della Francia, propone Riad, mentre l’Italia vorrebbe che la sede fosse Roma. Mentre si attende la decisione su questo dossier, con i sauditi che sembrano ormai in vantaggio, i due Paesi hanno firmato un memorandum of understanding, siglato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e dal ministro saudita degli Investimenti Khalid Al Falih, finalizzato a promuovere gli investimenti tra i due Paesi. Si parla di una collaborazione diretta del Fondo sovrano arabo con quello italiano del Made in Italy.
È un accordo che, spiega Rony Hamaui, docente di scienze bancarie, finanziarie e assicurative nell’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, non ha un significato strategico. Anzi, per l’Arabia sarebbe un contentino nei nostri confronti. La partita che conta è quella dell’Expo. L’Arabia, prima forte alleato degli Usa in tutta l’area mediorientale, ora ha cambiato politica, tenendo rapporti anche con altri Paesi, a partire da Russia e Cina, tradizionalmente rivali proprio degli americani. Con un orientamento in merito alla politica dei prezzi del petrolio non certo favorevole all’Occidente.
Professore, come possiamo inquadrare il memorandum firmato tra Italia e Arabia?
Onestamente la firma di questo memorandum non conta molto. Per l’Arabia Saudita è una sorta di mancia, un contentino dato all’Italia. La partita che interessa loro è quella dell’Expo, che probabilmente vinceranno, per il resto vogliono mantenere buoni rapporti con noi ma non si tratta certamente di un accordo strategico. Prova ne sia che sulla stampa internazionale non è stato neanche citato. E di solito giornali come il Financial Times, il Wall Street Journal o il New York Times sono molto attenti nel segnalare accordi significativi.
Ma questa sinergia tra il fondo sovrano arabo e quello italiano per il Made in Italy di cui si parla potrebbe portare comunque a qualche vantaggio per noi?
Ci sarà in gioco qualche miliardo, i sauditi ne metteranno 1, 2, forse 5, che potrebbero andare in aziende tipo Finmeccanica o Eni, senza che questo possa significare granché. Entrerebbero nel salotto buono della nostra economia ed è una cosa che ai sauditi non dispiace. L’Italia per loro non conta molto ma non disdegnano di mantenere buoni rapporti con noi.
L’Arabia è sempre stato un grande alleato degli Usa nel Medio Oriente, veniva considerato un alleato dell’Occidente. Ora non è più così?
I rapporti con gli Usa sono cambiati molto. Ora non è più possibile considerare l’Arabia un alleato affidabile. È diventato in un certo senso un alleato opportunista. Ha allacciato rapporti con la Russia, con la Cina, sostanzialmente cerca di avere le mani libere e di realizzare i propri interessi. Basta vedere ciò che stanno facendo in relazione al petrolio con il rialzo del prezzo del greggio. Semplicemente l’Arabia Saudita si è adeguata a un mondo in cui non c’è più il dominio degli Stati Uniti ma è diventato multipolare.
I sauditi hanno cambiato radicalmente la loro politica?
Per capirlo basta mettere in fila i fatti. Prima hanno allacciato rapporti con la Russia e l’hanno fatta entrare nell’Opec allargato. Una mossa importante perché Russia e Arabia insieme controllano gran parte del mercato del petrolio. Qui hanno promosso una politica sui prezzi che non è certo favorevole agli interessi occidentali. Poi si sono rivolti alla Cina, grazie alla quale sono riusciti a riallacciare i rapporti con l’Iran. E gli iraniani vendono ai russi i droni che vengono utilizzati nella guerra in Ucraina. Inoltre l’Arabia, così come l’Iran, è stata invitata a entrare nei Brics. I sauditi, insomma, hanno capito che nel teatro mondiale le cose stanno cambiando e che oggi, appunto, contano anche attori come Russia, Cina, Iran.
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