In un contesto in cui l’economia è notevolmente influenzata dalla competitività dei sistemi territoriali gli studi e le analisi più accreditati e i rapporti delle autorità internazionali collocano l’Italia in posizioni non lusinghiere nelle graduatorie di efficienza, ed indicano l’eccesso di oneri amministrativi e la lentezza dei tempi burocratici come gravi handicap del sistema socio-economico regionale, che ostacolano la realizzazione dei diritti dei cittadini, l’attività di impresa e i nuovi investimenti.
Una burocrazia che costa troppo
Secondo attendibili studi l’inefficienza amministrativa e la proliferazione di adempimenti burocratici costano al sistema produttivo e alla finanza pubblica nazionale circa 150 miliardi di euro in termini di debiti non pagati nei confronti delle imprese, sprechi di risorse che non consentono di ricondurre la pressione fiscale nella media Ue e costi del deficit logistico-infrastrutturale, oneri a carico delle imprese (pari a 57 miliardi), in termini di costi organizzativi e di consulenza ed assistenza tecnica amministrativa, legale e finanziaria, indispensabili per districarsi tra le infinite disposizioni normative che disciplinano i procedimenti amministrativi e gli innumerevoli adempimenti richiesti, per interpretare criptiche clausole di bandi, circolari, risoluzioni, istruzioni operative, nonché di oneri per le spese procedurali ed il contenzioso, che spesso costituisce un approdo inevitabile.
A questi ingenti costi bisogna, peraltro, aggiungere gli oneri indiretti: i ritardi nella conclusione dei procedimenti amministrativi, nelle procedure di appalto, concessione ed autorizzazione, nel pagamento delle fatture privano il sistema produttivo di liquidità preziosa, provocano ritardi nel pagamento dei dipendenti e dei fornitori, dei tributi e contributi, che sfociano in contenzioso e azioni esecutive, e le imprese sono spesso costrette ad attingere al credito finanziario, assumendo debiti cui diventa sempre più difficile far fronte.
Eppure di semplificazione si parla ormai da oltre trent’anni e da allora sono stati approvati una legge generale sulla semplificazione e numerosi provvedimenti normativi diretti a semplificare la macchina burocratica pubblica e i rapporti con i cittadini.
Per semplificare un sistema troppo “ricco” di regole e passaggi burocratici, sovrapposizioni e duplicazioni di competenze si sono prodotte e continuano a prodursi nuove leggi e atti normativi che integrano, modificano, sopprimono, sostituiscono le norme precedenti, stravolgendo gli adempimenti dei cittadini e delle pubbliche amministrazioni.
Ma le continue modifiche legislative sono davvero lo strumento più efficace per semplificare un sistema amministrativo troppo complesso? L’iter legislativo è lungo e articolato: discussione e votazione in commissione e in aula, sugli emendamenti e sul testo definitivo. I tempi si dilatano e sull’adozione delle leggi non ci sono garanzie, soprattutto in assenza di solide maggioranze, e se le leggi non vengono adottate non c’è mai un responsabile: il governo incolpa l’ostruzionismo dell’opposizione, che denuncia l’inadeguatezza delle iniziative proposte.
Semplificare attraverso l’approvazione di nuove leggi, inoltre, comporta un certo periodo di metabolizzazione delle nuove regole: se ne devono chiarire contenuto e modalità applicative attraverso circolari interpretative, istruzioni e direttive agli uffici, e per risolvere i contrasti tra le diverse disposizioni normative, stabilire quali applicare e definirne l’esatta applicazione spesso bisogna aspettare decine di sentenze giurisdizionali e diversi anni.
Con le modifiche legislative spesso le amministrazioni acquisiscono nuovi compiti, e talvolta vengono creati nuovi uffici, enti, istituzioni, autorità, strutture che sostituiscono o affiancano quelli esistenti, cambia la modulistica, i cittadini si trovano di fronte a numerosi disagi, e l’applicazione delle nuove regole genera contenzioso. Le leggi, inoltre, per quanto efficaci, non cambiano la vita dei cittadini se non vengono correttamente attuate, e i provvedimenti attuativi spesso non vengono adottati o vengono emanati con anni di ritardo, neutralizzando, di fatto, le innovazioni normative.
Come semplificare il sistema
Ciò non significa ovviamente che le leggi siano inutili o controproducenti, ma bisogna trovare il giusto equilibrio tra legislazione e attuazione: attuare le regole esistenti e capire cosa effettivamente bisogna modificare.
Basti pensare che, se le leggi esistenti venissero adeguatamente applicate, i procedimenti amministrativi si concluderebbero entro 30 giorni, e i più complessi entro 180, le amministrazioni non richiederebbero pareri inutili e documenti già in possesso loro o di altre amministrazioni, annullerebbero spontaneamente i provvedimenti illegittimi, molti procedimenti lunghi e complessi potrebbero essere sostituiti da accordi tra privati e Amministrazione o tra amministrazioni, quando la conclusione del procedimento è subordinata a pareri, nulla osta o atti di diverse amministrazioni il procedimento verrebbe concluso in conferenza di servizi entro 45 o al massimo 90 giorni, numerosi adempimenti sarebbero sostituiti da autocertificazioni, comunicazioni e segnalazioni, le imprese verrebbero pagate entro termini ragionevoli.
Sarebbe sufficiente l’attuazione di strumenti ampiamente conosciuti: misurazione degli oneri amministrativi ed eliminazione di quelli non necessari, controlli efficaci sul rispetto dei termini procedimentali, concreta attività di sfoltimento di enti e strutture pubbliche, “partendo dai casi in cui più evidente è la duplicazione delle competenze e la sostanziale mancanza di un interesse pubblico attuale alla loro sopravvivenza”, informatizzazione dei procedimenti, condivisione delle basi informative.
L’analisi degli effetti delle regole pubbliche e la misurazione dei costi sopportati da cittadini e imprese nel rapporto con la pubblica amministrazione, previste da oltre 10 anni, non sono mai entrate pienamente a regime, ma le rilevazioni statistiche e le prime applicazioni hanno rivelato che il loro corretto utilizzo consentirebbe di eliminare una ingente mole di oneri e costi di transazione, sino a 30 miliardi.
Secondo le stime del Politecnico di Milano, la trasformazione digitale nella pubblica amministrazione produrrebbe un beneficio di 35 miliardi di euro per la stessa Pa e di 25 per le imprese, mentre il riassetto delle strutture burocratiche e il coordinamento tra amministrazioni statali, regionali e locali consentirebbe di eliminare le sovrapposizioni e duplicazioni di competenze che rallentano l’azione amministrativa, favoriscono la proliferazione di adempimenti e inquinano le responsabilità.
Bisogna inoltre garantire l’attuazione effettiva delle norme taglia-oneri da parte delle strutture burocratiche, rendendo dirigenti e dipendenti responsabili dei risultati raggiunti dalla propria struttura in relazione a obiettivi concreti e misurabili.
Queste norme, però, risultano di fatto pressoché inattuate: in diverse occasioni, infatti, la Corte dei conti ha rilevato che la retribuzione di risultato (che impegna consistenti risorse) viene riconosciuta anche ai responsabili di strutture amministrative che accumulano ritardi e contenzioso; e in alcune circostanze sono stati premiati con il trattamento accessorio e progressi di carriera dirigenti e dipendenti condannati per gravi episodi di spreco di risorse pubbliche.
Ciò dimostra che il nodo cruciale consiste nella capacità di calibrare l’attribuzione degli incarichi e il trattamento economico dei dipendenti pubblici in relazione a parametri concreti: rispetto dei termini procedimentali e delle disposizioni di semplificazione, condotta in conferenza di servizi, contenzioso provocato e relativi esiti, tempi di pagamento dei debiti verso le imprese.
Ciò consentirebbe di conseguire da subito una notevole semplificazione, dando una risposta immediata a cittadini e imprese. Per favorire l’applicazione in tutto il perimetro delle amministrazioni locali si potrebbero, inoltre, prevedere premi e incentivi di carattere finanziario a favore delle amministrazioni più virtuose.
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