Nella Cop26 di Glasgow i governi europei e statunitense hanno tentato di forzare le altre nazioni (quasi 200 in tutto) a prendere impegni più precisi per limitare il riscaldamento del pianeta sotto i 2 gradi a fine secolo e così evitare una catastrofe climatica. Pur ottenendo una minima convergenza nominale, non ci sono riusciti.
I Paesi in via di sviluppo, particolarmente l’India e la Cina, e poveri, nonché quelli produttori di petrolio e gas, hanno rifiutato un’agenda accelerata di abbandono dei combustibili fossili per non compromettere il loro sviluppo. Per lo meno questo punto è stato chiarito. E la prossima Cop27 in Egitto probabilmente non supererà la differenza tra democrazie sviluppate che puntano al 2050 per ottenere la neutralità carbonica e il resto del mondo che dice di poterlo fare nel 2070, ma in realtà non ne ha l’intenzione anche perché, effettivamente, non ne ha le possibilità. Pertanto la speranza di un’eco-politica globale convergente è ridotta.
Soluzioni? Il tema è aperto, ma chi scrive ritiene che la soluzione, prima di diventare politica, debba essere tecnologica e tripartita: (a) aggiungere al mix di fonti energetiche rinnovabili sia il nuovo mini-nucleare a fissione con poche scorie, sia quello a fusione senza scorie; (b) accelerare la tecnologia di de-carbonizzazione diretta, cioè togliere la CO2 dall’atmosfera, sia catturandola in depositi sotterranei, sia trasformandola in carbonio solido via catalisi; (c) incrementare la spesa di eco-adattamento per mitigare i rischi climatici.
L’idea è quella che le democrazie evolute offrano al resto del mondo soluzioni eco-tecnologiche “vere”, ora mancanti, che poi sostengano concretamente la pressione politica de-carbonizzante.
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