C’è il professor Mario e c’è il presidente Draghi. Non sono il dottor Jekyll e mister Hyde, per carità, ma talvolta non sembrano nemmeno la stessa persona. Il professor Mario parla di economia di guerra e di razionamento (sia pur come eventualità alle quali prepararsi, non ancora realtà quotidiana). E la pensa come Ignazio Visco: “Anche la stabilità finanziaria corre rischi significativi, dovuti a potenziali interruzioni della fornitura di energia e alle loro conseguenze sull’economia reale e gli intermediari, e a dislocazioni nei mercati finanziari”, ha spiegato giovedì scorso il governatore della Banca d’Italia alla terza conferenza congiunta con l’Università Bocconi. E ha proseguito: “Fra tali profonde incertezze, i meccanismi di amplificazione potrebbero arrivare da vari canali, a causa della forte interconnessione del sistema finanziario globale”.



Il presidente Draghi vuole “affrontare la crisi del grano come quella del gas: diversificazione delle fonti e aiuti alle famiglie”. E annuncia: “Tassiamo una parte degli straordinari profitti che i produttori stanno facendo grazie all’aumento dei costi delle materie prime e distribuiamo questo denaro alle imprese e famiglie che si trovano in grande difficoltà”. 



Il Consiglio dei ministri venerdì ha approvato misure per 4,4 miliardi di euro che si aggiungono agli oltre 16 miliardi spesi dalla scorsa estate per difendere gli italiani dall’aumento del costo dell’energia. Di qui a fine aprile il prezzo alle pompe di benzina e gasolio sarà ridotto di 25 centesimi al litro. Aumentano da 4 a 5,2 milioni le famiglie protette dagli aumenti delle bollette, che pagheranno l’energia come l’estate scorsa. Il tetto Isee sale da 8mila a 12mila euro, includendo 1,2 milioni di famiglie in più rispetto al provvedimento precedente. Per le imprese ci sono bollette pagabili in 24 mesi e credito d’imposta. Si tratta di boccate d’ossigeno da non sottovalutare, ma è chiaro che non sono sufficienti, ancor meno se lo spettro paventato dal Governatore Visco prenderà corpo. Secondo l’Ocse, la guerra in Ucraina costerà quasi un punto e mezzo di crescita. E sono stime approssimate per difetto. In ogni caso la previsione di tornare quest’anno al prodotto lordo del 2019 s’allontana e la forte ripresa del 2021 s’indebolisce. Gli industriali lanciano da tempo l’allarme e chiedono misure più energiche. Intanto grida di dolore si levano da tante parti verso il Governo. Perché dunque il presidente Draghi si muove con tanta prudenza anche se il professor Mario conosce bene come stanno le cose?



Una spiegazione è che il Governo ha deciso di affrontare i nuovi malanni con una terapia a piccole dosi. Nessuna cura da cavallo, un po’ di tachipirina oggi, multivitamine domani, termometro mattina e sera, pronto soccorso a disposizione, ma solo se le pillole non bastano. Svuotare subito l’intera cassetta di cerotti e medicinali lascia il Governo senza strumenti e lo indebolisce. Già oggi è sottoposto a un fuoco di fila: tutti vogliono essere aiutati e ciascuno pensa che le proprie difficolta siano le più gravi. Diventa facile per i partiti che hanno già la testa alle elezioni della prossima primavera cavalcare lo scontento e farsi portatori di istanze corporative. Ciò paralizzerebbe il Governo e indebolirebbe ogni singola scelta, considerata parziale e iniqua da tutti gli altri, favorendo così la concorrenza e le divisioni dentro l’esecutivo. La seconda interpretazione è che il presidente Draghi voglia prendere le misure necessarie senza fare nuovo debito, finché è possibile. Nessuna revisione, dunque, degli obiettivi di bilancio che metterebbero di nuovo l’Italia sotto il tiro dei Paesi frugali. Il capo del Governo attende che il via libera ad allargare ancora i cordoni della borsa venga dall’Unione europea e si sta muovendo in vista del Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi. Nello stesso tempo spinge perché sia l’Ue a sostenere in modo chiaro e determinato l’emergenza economica. 

L’incontro romano con Spagna, Portogallo e Grecia venerdì scorso ha messo sul tavolo scelte importanti come fissare un tetto al prezzo di importazione del gas (100 euro a megawattora o forse meno) e sganciare il prezzo del metano da quello dell’elettricità, prodotta magari da altri fonti, l’acquisto e lo stoccaggio comune di gas. La Commissione europea sta elaborando un piano che, da un lato, imporrà agli Stati di riempire i serbatoi al 90% entro il 1° ottobre e, dall’altro, porrà le condizioni per “sostenere operazioni di riempimento coordinate” insieme a una decisa diversificazione delle fonti di acquisto, in sostituzione della Russia. Per quel che riguarda in particolare l’Italia, ad affiancare l’Algeria arriverà il Qatar (già qualche visita governativa è partita in questa direzione), e Paesi africani come il Congo e l’Angola. L’Eni lavora in tal senso e promette di sostituire in un anno l’intera fornitura di metano russo. La Commissione Ue sta mettendo a punto una serie di opzioni con “misure d’emergenza per limitare l’effetto contagio del prezzo del gas sui prezzi dell’elettricità”, tra cui anche “tetti temporanei”. Bisognerà superare il prossimo inverno, ammesso che la guerra non peggiori e non si arrivi a interrompere del tutto il flusso dalla Russia.

È una questione di tempi e di volontà comuni, se l’Ue rimane divisa e si muove al rallentatore, allora l’emergenza si trasformerà in crisi e l’Italia sarà la prima a essere colpita. Per questo occorre mettere a punto un piano nazionale straordinario che coordini le risorse del Pnrr (da aggiornare e da adattare), quelle europee ordinarie che non sono state ancora utilizzate e nuove spese straordinarie per consumi e investimenti, una vera e propria politica economica anti-ciclica che possa contrastare la micidiale miscela di inflazione e recessione. 

Il professor Mario non può che essere d’accordo, il presidente Draghi si muove un passo alla volta. Può darsi che sia la tattica giusta, ma il Documento di economia e finanza, ormai prossimo, è l’occasione per capire quale sarà, oltre la tattica, la strategia di fondo.

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