La libertà di pensiero – con i suoi corollari relativi al diritto all’informazione, che offre indispensabile nutrimento alla libertà stessa – sta diventando di attualità. Pur con le dovute correzioni e rettifiche, il sen. Mario Monti ha fatto un veloce riferimento alla necessità di intervenire su questo basilare diritto per invocare una sua limitazione in materia di pandemia, visto che – secondo quanto detto – saremmo in tempo di guerra e in tempo di guerra nessuno dubita che sia possibile mettere in atto strumenti di limitazione dei diritti.



Si potrebbe anche soprassedere su queste affermazioni, esito evidente di un eccesso di preoccupazione per lo stato delle cose e per le prossime chiusure che si prospettano, ma anche, forse, originate dalla paura di una nuova ondata di contagi, di cui ciascuno potrebbe essere vittima.

Ciò detto, occorre forse contestualizzare le parole del senatore Monti in un ambito più ampio, quello che oggi può essere definito come un contesto dominato dalla paura della diversità delle opinioni, paura che si agita in mondi diversi dal nostro ma che rischia di tracimare anche da noi. Nelle università americane, ad esempio, più di uno studioso ha sentito il bisogno di ribadire il senso della libertà di opinione, quella freedom of speech che è da sempre considerato uno dei pilastri della democrazia americana, in quell’accezione estrema secondo cui ogni opinione deve avere cittadinanza nello spazio pubblico mentre spetta al market place of ideas il compito di discernere quelle che meritano attenzione, adesione e diffusione da quelle da emarginare. Non sarebbe questo il compito del potere pubblico, da sempre avverso alle opinioni minoritarie e radicali, perché gli strumenti di repressione di queste idee – ultimamente ritenute pericolose – potranno poi essere usati anche per reprimere le svariate forme di dissenso presenti in ogni società democratica e pluralista.



Certo: noi occidentali, insediati lungo questa sponda dell’Oceano, abbiamo una visione parzialmente diversa. Vi sono opinioni che le nostre Costituzioni bandiscono, come accade in Italia per l’apologia del fascismo, per il divieto di ricostruzione del disciolto partito fascista e per la la mancata copertura costituzionale per le associazioni che perseguono fini politici con una organizzazione di tipo militare (art. 18 Cost.). In Germania, democrazia protetta per eccellenza, si possono dichiarare fuori legge partiti neofascisti con un procedimento che parte dal Parlamento, a ciò indotto dalla sua (molto simile alla nostra) esperienza totalitaria.



Ma, a parte questi casi estremi, è bene ricordare che la libertà di opinione è una forma sostanziale di inveramento della democrazia, che si nutre anche di opposizione, sia pure di natura radicale. La difesa della democrazia, in tutti i suoi aspetti, si nutre di rispetto per le opinioni minoritarie, a cui dare spazio per far si che esse restino nell’ambito di quei principi che stanno alla base della nostra Costituzione: libertà, eguaglianza e garanzia delle minoranze culturali, linguistiche e politiche.

Noi abbiamo vissuto durante la pandemia un affievolirsi dalla centralità del Parlamento a favore di poteri dati in mano al potere esecutivo, in nome della necessità di una tutela senza quartiere nei riguardi di un nemico senza quartiere e dell’emergenza da esso provocata. Piano piano questa situazione si sta normalizzando: ritornare a forme di accentramento del potere stesso e della conseguente demonizzazione della libertà di informazione e di opinione può ostacolare il processo di normalizzazione ed è bene non darvi seguito.

Meglio sarebbe stato, in verità, non invocare rimedi peggiori del male nello spazio pubblico, facendo attenzione – senza fermarsi al passato anche recente, nell’immediato futuro e anche oltre – all’emergere di queste tentazioni. Non dobbiamo dimenticare infatti che la tutela del nucleo forte della libertà di informazione è nelle mani di un servizio pubblico alla cui gestione partecipano tutte le parti politiche: pur nella sua imperfezione, questo stesso fatto può essere visto come una tutela non solo della libertà di cui si sta parlando, ma della stessa democrazia sostanziale cui il nostro Paese si professa debitore.

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