Vuoi per l’alluvione in Emilia-Romagna, per gli appuntamenti internazionali del  presidente del Consiglio, la trattativa sul Pnrr e il Mes, degli arrivi sulle nostre coste non si parla più. Abbiamo fatto il punto con Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e InsideOver, per capire cosa sta succedendo nella rotta del Mediterraneo centrale, ma anche sui tavoli europei, dove, dopo il no della Svezia alla ricollocazione obbligatoria, si sta facendo strada l’ipotesi di introdurre quote massime nazionali.



Gli sbarchi sembrano spariti. In maggio è cambiato qualcosa?

Sono emerse altre priorità politiche rispetto all’immigrazione, e questo ha creato una sorta di scala gerarchica delle notizie. C’è però anche un altro fatto: di sbarchi ce ne sono stati di meno.

È dipeso dalle condizioni del mare?

Indubbiamente le condizioni meteo hanno reso questo mese di maggio particolarmente ventoso e non adatto alle partenze.



Cosa ci dicono i numeri degli arrivi monitorati dal Viminale?

A maggio i flussi migratori hanno subito una battuta d’arresto in confronto ai primi quattro mesi dell’anno. In aprile sono sbarcati, per intenderci, quasi 15mila migranti. Dal 1° maggio a oggi siamo nell’ordine dei 5.500.

Anche la crisi della Tunisia è sparita dai radar. Cosa sta succedendo nello Stato nordafricano?

Non sono arrivate importanti novità nelle ultime settimane, ma si sta registrando un primo cambio di atteggiamento da parte di Tunisi. Gran parte delle partenze hanno riguardato migranti subsahariani e non tunisini, vuol dire che la gente che scappava per la crisi economica tunisina era una minoranza, mentre il flusso verso l’Italia era evidentemente organizzato dai trafficanti. Adesso si sta assistendo a qualcosa di diverso.



Vale a dire?

Nei giorni scorsi la guardia costiera locale è intervenuta per evitare la partenza di un gommone, ha arrestato tre trafficanti e nelle ultime ore si è avuta notizia di una condanna esemplare a 79 anni di carcere per un altro trafficante. Tunisi, adirata per il mancato prestito dell’Fmi, vitale per evitare il definitivo tracollo economico, probabilmente ha avuto delle rassicurazioni.

Attualmente chi sta parlando con Tunisi?

L’Italia in primis. Fin dai mesi scorsi il governo di Roma si è fatto portavoce delle richieste. La stessa Giorgia Meloni ha posto la questione tunisina allo scorso G7 di Hiroshima, parlandone con la segretaria dell’Fmi. Il nostro esecutivo chiede un immediato sblocco dei prestiti per la Tunisia, malgrado il presidente tunisino Kais Saied appaia riluttante alle riforme volute dal Fondo.

Siamo gli unici?

No, di recente c’è stato anche l’interessamento della Francia. Roma e Parigi hanno interesse affinché la Tunisia non affondi: l’Italia per la questione migratoria ed energetica, visto che i gasdotti algerini passano da lì, la Francia per un discorso economico e di influenza nella regione nordafricana. Forse il doppio interessamento sta attivando Saied a mettere in campo la guardia costiera contro i trafficanti.

La ministra degli Esteri francese Catherine Colonna ha detto al Corriere che occorre “aumentare la nostra cooperazione con la Tunisia attraverso il canale europeo”. Quali sviluppi possiamo aspettarci?

Tunisi e Bruxelles hanno già stretto in passato diversi partenariati. Ma questo, come si può osservare, non ha evitato il tracollo dell’economia che come sappiamo sta tenendo a fatica e spera nell’aiuto internazionale per non fallire del tutto. Bisogna quindi vedere cosa si intende per cooperazione: se assegni a vuoto per Saied affinché blocchi i migranti, se finanziamenti di singoli progetti come avvenuto fino ad ora con scarsi risultati, oppure, e questo è auspicabile, se un vero e proprio canale di cooperazione diretto ad aiutare la Tunisia a risolvere le crisi strutturali di cui soffre.

Colonna ha anche detto che si deve aumentare la cooperazione “attraverso i reciproci accordi bilaterali con la Tunisia che abbiamo interesse a coordinare bene”. Una cooperazione con la Francia ha un possibile punto di caduta operativo?

Se si vuole fare un passo avanti rispetto agli accordi Tunisia-Ue siglati in passato occorre rivederli e migliorarli. Per adesso non si conoscono nel dettaglio i piani su future intese con Tunisi. Ovviamente una nostra collaborazione con Parigi potrebbe portare entrambi i Paesi europei a capire meglio i limiti della situazione attuale.

Dalla Svezia, presidente di turno dell’Unione, oltre al prevedibile no alla ricollocazione obbligatoria – un no che si fa forte anche del supporto polacco –, arriva un impegno a sostenere i Paesi che stanno alle frontiere esterne. Che cosa ti attendi dai prossimi appuntamenti europei?

Si cercheranno dei compromessi. Nelle ultime ore si sta facendo strada l’ipotesi di introdurre le quote massime nazionali. Una soluzione a metà tra l’obbligatorietà dei ricollocamenti di migranti, osteggiata fortemente dai Paesi dell’Est e del Nord Europa, e i ricollocamenti fatti su base volontaria. In base alla capacità di ogni singolo Paese, verrebbero stabilite delle quote di persone da ricollocare per alleviare la situazione nelle aree di primo sbarco.

È una soluzione che può guadagnare consenso?

È interesse della Svezia arrivare a un definitivo compromesso entro la fine del suo semestre, quindi entro luglio. Se Stoccolma riuscirà nel suo intento, la palla passerà a Parlamento europeo e Commissione. Decisivo in tal senso sarà il consiglio degli Affari interni dell’8 giugno.

In Libia il Governo italiano si sta muovendo in modo discreto, puntando a mediare e ricucire tra le parti. È la strada giusta? Che margini abbiamo?

In passato i vari governi che si sono alternati hanno sperato nella solidarietà europea mai arrivata. Oggi Roma deve fare una scelta: rimarcare quanto non ricevuto negli anni precedenti oppure trattare e sperare che nel medio termine arrivino risultati. A giudicare dalle dichiarazioni della Meloni delle settimane scorse, credo che Palazzo Chigi abbia scelto la via diplomatica e abbia riposto l’ascia di guerra in cantina.

(Federico Ferraù)

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