La scorsa settimana è emersa la proposta del ministro dell’Economia di contrasto al declino della natalità di cui soffre l’Italia. Lo strumento individuato passa per la riduzione dell’Irpef. A questo riguardo è di questi giorni la pubblicazione da parte del Mef dei redditi dichiarati dagli italiani per l’anno di imposta 2021.
I dati evidenziano come, con l’affievolirsi delle restrizioni imposte dalla fase pandemica, siano tornati ad aumentare i redditi dichiarati e le imposte versate dagli italiani che in media pagano una Irpef di circa 5.452 al netto del trattamento integrativo (bonus Renzi rimodulato a 100 euro dal Governo Conte-2). Dalla rilevazione emerge che il reddito medio è di euro 22.540 per quanto riguarda i dipendenti, di euro 60.520 euro per i lavoratori autonomi, di euro 24.130 per gli imprenditori titolari di ditte individuali e di euro 19.480 per gli imprenditori soci delle società di persone.
Ai nostri fini quello che interessa è il dato dell’imposta pagata pari, come anticipato, a circa 5.452 euro. A pagarla sono circa 31,3 milioni di contribuenti mentre 13 milioni hanno un’imposta netta pari a zero o perché rientranti nell’area di esenzione (no tax area) o perché possono far valere detrazioni che azzerano l’imposta. Ancor di più interessa come sia distribuito tra la popolazione il pagamento delle imposte. Dai dati pubblicati emerge che i contribuenti che pagano un’imposta netta hanno redditi fino a 35.000 euro sono circa l’82% del totale e dichiarano il 41% dell’imposta netta totale. Il restante 59% dell’imposta viene versato dai contribuenti con redditi superiori a 35.000 euro (18% del totale contribuenti), mentre dichiarano il 6,7% dell’imposta totale i soggetti con un reddito complessivo maggiore di 300.000 euro.
Partendo dal dato dell’Irpef pagata diventa complicato immaginare come la sua riduzione mirata possa da sola costituire lo stimolo per far crescere la natalità in Italia. Per una migliore comprensione dei risultati conseguibili occorrerebbe, infatti, confrontare il maggior reddito disponibile per le famiglie, dopo l’azzeramento dell’Irpef, con la spesa da sostenere per supportare la crescita di un figlio. Questo raffronto non è agevole benché vi siano delle stime al riguardo. Nella realtà anche chi ha figli non conosce i costi che complessivamente sostiene per la loro crescita. Quando si decide di avere un figlio lo si fa perché mossi da altri ideali e un po’ anche da incoscienti. Difficilmente si fa un calcolo economico, si è spinti dal desiderio di essere genitori per cui si sa che dovranno fare sacrifici e li si accetta ex ante. Questa consapevolezza non significa che non vi sia la necessità per la famiglia di ricevere un aiuto che funga anche da stimolo.
Giunti a questo punto proviamo a fare un discorso più articolato. La prima considerazione da fare è senza dubbio che i redditi degli italiani sono bassi per cui il solo azzeramento dell’Irpef risulterebbe in larga parte insufficiente. Da qui l’ovvia conseguenza che una politica per la famiglia deve passare anche per l’erogazione di servizi reali e di sconti per l’acquisto di alimenti, di servizi per la cura dei bambini, asili nido e sostegno al reddito per le famiglie monoreddito o con redditi bassi. In Italia a oggi non esiste un modello organico e tipizzato di politica familiare che in larga parte si fonda sulla sussidiarietà. Sono le donne che in primis si prendono cura della casa, dei figli oltre che dei lavori domestici.
Oggi, in ambito redistributivo, poco viene erogato alle famiglie essendo in massima parte indirizzato in favore delle pensioni e degli anziani disabili. Per la politica non è stata mai centrale l’idea per cui sostenere la famiglia non sia da considerare un costo, bensì un investimento nel futuro del Paese. In Italia le politiche pubbliche per le famiglie sono state caratterizzate da interventi minimali benché esistano validi esempi in alcuni territori. Negli anni si è assistito, infatti a interventi sporadici che possano essere ex post di sostegno ai casi di estremo bisogno a carattere assistenzialistico tendenzialmente per fronteggiare l’emergenza.
Anche l’Unione europea non ha una politica unitaria e lascia ai singoli Stati la “libertà” di operare singolarmente tanto da apparire neutrale su questa problematica. La denatalità caratterizza anche l’Europa nel suo complesso. Nel 2020 nell’Ue sono nati 4,07 milioni di bambini, confermando una tendenza al ribasso iniziata nel 2008 quando nacquero 4,68 milioni di bambini. Il continente sta invecchiando se si guarda alle popolazioni tradizionali e ancora oggi non offre sostegno alle famiglie di immigrati spesso emarginate e relegate nelle periferie.
Il Ministro Giorgetti ha stimato in circa 7 miliardi annui il fabbisogno che a regime servirebbe per dare copertura alla misura del tutto condivisibile che il Governo vorrebbe introdurre. Il fabbisogno già di per sé difficilmente sostenibile per le casse dello Stato è ancor più insostenibile dopo le nuove regole sul Patto di stabilità introdotte dall’Unione europea. Per finanziare il fabbisogno si pensa ad una rivisitazione delle detrazioni e delle deduzioni fiscali che nella analisi fatta dalla Gabanelli misurano la maggior parte dei 128 metri che compongono le istruzioni della dichiarazione dei redditi. La concreta e condivisibile adozione di una politica di sostegno alle famiglie oltre a essere strategia e di lungo periodo deve, quindi, passare per una rivisitazione concreta della spesa pubblica.
In prospettiva per l’attuazione della proposta, il reperimento delle risorse e il suo miglioramento è auspicabile la collaborazione tra le forze politiche. Non secondario potrebbe essere proporre a livello europeo l’adozione di un piano di Recovery per la famiglia che darebbe forza alla identità europea.
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