La menopausa può essere procrastinata nel tempo? Una domanda che le rappresentanti del gentil sesso spesso si pongono e a cui ha provato a fornire una nuova risposta uno studio condotto su oltre 200mila donne, da cui sono emerse centinaia di varianti genetiche coinvolte nel processo di determinazione dell’età in cui è sopraggiunta la menopausa. Il catalogo dei geni potrebbe aiutare i ricercatori a creare un test diagnostico che permetta alle donne di prevedere meglio quando quest’ultima potrebbe palesarsi: “In un mondo ideale, saremmo in grado di prevedere quali donne hanno una finestra di fertilità naturale più breve, per consentire loro di fare scelte riproduttive più informate – ha asserito John Perry, genetista dell’Università di Cambridge e autore principale dello studio –. Attualmente, la maggior parte delle donne è completamente all’oscuro di quale possa essere questa finestra”.
Le donne, si legge sull’autorevole rivista scientifica “Nature”, nascono già con le cellule destinate a svilupparsi nelle ovaie durante la crescita. Nel corso del tempo, alcune di esse, chiamate ovociti, matureranno in uova e saranno rilasciate durante l’ovulazione. Il corpo distruggerà gli altri ovociti che contengono DNA danneggiato. Questo processo di perdita di ovuli immaturi accelera con l’età, perché i meccanismi di riparazione del DNA diventano meno efficaci e permettono all’acido desossiribonucleico danneggiato di accumularsi. Quando arriva la menopausa, le riserve ovariche di ovuli sono esaurite e, solitamente, la fertilità diminuisce già un decennio prima.
MENOPAUSA: RICERCA SUI GENI PER RALLENTARE IL PROCESSO
I ricercatori di Cambridge, nel loro studio, hanno cercato sequenze genetiche che sembravano influenzare l’età nella quale una partecipante entrava in menopausa. La scoperta di 290 varianti legate al tempo della menopausa quintuplica il numero di influenze genetiche conosciute e ciascuna di esse è associata a una menopausa anticipata o ritardata, di settimane o addirittura di anni. Particolare riscontro in tal senso si è avuto dall’analisi di donne che avevano perso la funzione di un gene chiamato CHEK2, che ha causato un ritardo medio di 3 anni e mezzo del sopraggiungere della menopausa.
Quel gene, infatti, produce la proteina CHEK2, che può far sì che una cellula con DNA danneggiato smetta di dividersi o si autodistrugga. Tuttavia, l’idea di manipolare le proteine CHEK per ritardare la menopausa risulta ancora prematura, anche se i risultati conseguiti dalla scienza sollevano la speranza che i trattamenti possano essere sviluppati per migliorare le terapie e prolungare la durata della vita riproduttiva. Serviranno ancora approfondimenti, però, in quanto potrebbero palesarsi altri rischi per la salute femminile, come il diabete di tipo 2, l’osteoporosi e una maggiore probabilità di ammalarsi di tumori legati agli ormoni, come quelli del seno. Roberta Venturella, ginecologa e ostetrica presso l’Università Magna Græcia di Catanzaro, ha confermato a “Nature” che “siamo solo all’inizio di un percorso che durerà a lungo”.