Oltre 135mila vetture immatricolate nel mese di aprile, con un aumento del 7,52% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Ma quello che potrebbe sembrare un dato positivo, in realtà, racconta la flessione del mercato dell’auto italiano. Dopo i dati negativi di marzo, infatti, anche quelli del mese successivo sono sullo stesso livello: l’aumento si giustifica solo pensando che ci sono stati due giorni lavorativi in più. L’andamento delle vendite, osserva Gian Primo Quagliano, presidente del Centro Studi Promotor, dipende anche dal continuo rinvio dei bonus per l’acquisto delle macchine (non solo elettriche) promesso dal Governo. Si tratta di incentivi promessi ormai alla fine dell’anno scorso, ma che non sono ancora diventati realtà: dovrebbero arrivare a maggio. Resta il problema delle auto elettriche. I precedenti incentivi messi a disposizione dal Governo sono rimasti praticamente inutilizzati. La rete delle colonnine per ricaricare le macchine non è ancora abbastanza diffusa e l’autonomia delle vetture non è concorrenziale rispetto alle normali vetture a benzina: gli italiani, insomma, non si fidano ancora ad acquistare questo tipo di macchine. Il nostro Paese deve far fronte anche a un calo progressivo della produzione interna, cui il governo vuole ovviare attraverso il ricorso a marchi stranieri, cinesi in particolare, che potrebbero realizzare le loro auto sul territorio italiano.
Il mercato dell’auto in Italia negli ultimi due mesi non sta dando segnali positivi, come mai?
La risposta non è positiva, si è interrotta la serie di 19 mesi consecutivi di crescita del mercato italiano. In marzo c’è stato un risultato negativo, in aprile abbiamo il 7% in più ma con due giornate lavorative in più: il livello è lo stesso del mese precedente. Rispetto alla situazione del 2019 c’è molto da recuperare e lo stesso vale per il mercato europeo. L’attesa per tornare alla normalità si prolunga.
Una scossa potrebbero darla gli incentivi promessi dal governo?
Finora non sono arrivati, prometterli e non concederli vuol dire bloccare il mercato. Se in un mercato in cui si vende a 100 si prospetta la possibilità che nel giro di breve tempo si possa comprare a 90, chi deve acquistare aspetta. L’ultima promessa è che li facciano entro il mese di maggio, ma li hanno annunciati alla fine dell’anno scorso. Anche attualmente ci sono degli incentivi per le auto elettriche, quelle fino a 20 grammi di emissioni di CO₂ al chilometro, però la gente aspetta perché spera che quelli che verranno siano più interessanti. Questi incentivi, però, non sono stati sufficienti a far decollare la nostra quota di mercato nell’elettrico.
Si tratta di incentivi che sono stati poco utilizzati, come mai?
Sono stati ampiamente inutilizzati. Non sono sufficienti per convincere la gente a comprare un’auto che costa almeno 25mila euro e che non ha l’elasticità di impiego rispetto a una vettura tradizionale. Non ci sono le strutture adatte per usarla in comodità e ci sono molte limitazioni all’autonomia di impiego.
Qual è l’autonomia delle vetture elettriche ora?
Se prendiamo un’automobile di media cilindrata a benzina con un pieno di 50 litri si fanno 800 chilometri, l’autonomia di un’auto elettrica, quando va bene, è di 400 chilometri. Il problema è che quando ci si ferma non si sa cosa succede: se si trova una colonnina bene, altrimenti bisogna chiedere aiuto. Ci sono servizi che fanno riferimento sul posto ma costa molto.
Ci vuole una rete di rifornimento molto più diffusa?
Certo, ma anche incentivi veramente significativi, come è successo in altri Paesi. In Norvegia, un mercato comunque piccolissimo, il 90% delle auto acquistate sono elettriche: ci sono incentivi formidabili e sono finanziati vendendo il petrolio del mare del Nord, quindi bruciando petrolio. Una grossa contraddizione.
I bonus annunciati dal Governo sono solo per le auto elettriche?
In passato ci sono stati anche bonus per auto comunque virtuose, per non più di 135 grammi di CO₂ al chilometro e sono stati bruciati in pochi giorni anche se non erano particolarmente significativi come importo. L’importante è che il Governo decida qualcosa. Le difficoltà del mercato dell’auto, comunque, non dipendono dall’esecutivo. Gli incentivi poi non potranno andare avanti all’infinito, anche perché sono costosissimi.
Il problema vero è quello del futuro dell’intero settore automobilistico in Italia e in Europa, della situazione di Stellantis e delle difficoltà che molti grossi brand del comparto hanno a produrre a prezzi concorrenziali con la Cina. Che scenario abbiamo di fronte?
Le difficoltà non riguardano la produzione in Italia: se c’è, bene, altrimenti si comprano altre automobili. Il problema è che se la produzione italiana cala (ed è calata moltissimo) abbiamo una ripercussione importante sui redditi da lavoro e sulle forniture di componentistica. Una delle industrie più fortemente trainanti dell’Italia era quella automobilistica e ora non è più così. Il Governo pensa di reagire andando a trovare altri investitori in Italia, come ad esempio case cinesi.
Si è parlato di Dongfeng ma anche di altri marchi, arriveranno davvero?
Una strada pericolosa perché i cinesi stabiliscono una testa di ponte per entrare nel mercato italiano, anche con vetture prodotte in Cina, come peraltro sta già succedendo.
Dal punto di vista commerciale i cinesi sono già una realtà.
I cinesi arrivano, anzi, ci sono già. Il problema è che dal punto di vista del Paese sarebbe opportuno che ci fosse in Italia una produzione nazionale, dovuta a produttori italiani o cinesi che siano. I produttori italiani ci sono e sono di alto livello: sono quelli della Motor Valley dell’Emilia-Romagna, che realizzano vetture da corsa, d’élite che sono un fiore all’occhiello della nostra industria. Ma questo non è il mercato dell’auto.
L’arrivo eventuale dei cinesi potrebbe scoraggiare Stellantis a rimanere in Italia?
Non lo so. Penso che Stellantis le sue scelte le faccia in autonomia. E che le abbia già fatte. E non è detto che siano a favore dell’Italia.
(Paolo Rossetti)
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