Le pubblicazioni periodiche del Sistema informativo Excelsior intervengono nel dibattito politico ed economico – per usare un termine calcistico – in contropiede, nel senso che rappresentano, sulla base dei monitoraggi di un notevole numero di aziende consultate, una costante smentita degli scenari lamentosi che caratterizzano le analisi del mercato del lavoro. Il loro messaggio è sempre il seguente: non è il lavoro che manca, ma i lavoratori.
Sarebbe il caso, allora, che queste considerazioni entrassero a far parte dei temi della campagna elettorale, dal momento che, spulciando nei programmi elettorali, si scopre che solo il Terzo polo si pone il problema del mismatch, ovvero del disallineamento, tra domanda e offerta di lavoro che è ormai divenuto una vera e propria emergenza.
Peraltro la pubblicazione a cui facciamo riferimento affronta uno scenario previsionale (aggiornato al giugno scorso) di medio-periodo dal 2022 al 2026, ai fini di orientare il fabbisogno formativo.
A differenza delle pubblicazioni periodiche a cadenza mensile e annuale tratte dall’indagine continua Excelsior – limitate ai dipendenti e agli altri addetti previsti in ingresso nelle imprese iscritte nei registri camerali – il campo di osservazione delle previsioni quinquennali presentate nella pubblicazione in esame, si estende agli occupati dell’intera economia, con la sola eccezione dei servizi domestici (viene considerato anche il settore agricolo e della pesca, in passato non compreso dall’analisi).
Le analisi sul mercato del lavoro nel medio periodo – avverte Excelsior – devono considerare l’attuale contesto socioeconomico, caratterizzato dall’intersezione di tre grandi megatrend e due grandi shock.
I megatrend catturano transizioni già in atto da diverso tempo: la transizione digitale, la transizione ambientale e la transizione demografica. Si tratta di trasformazioni che influenzeranno profondamente la società sotto diversi aspetti e, soprattutto, la struttura occupazionale nel prossimo futuro. Come è stato spesso messo in evidenza, gli effetti della rivoluzione digitale sul mercato del lavoro impatteranno lungo due dimensioni.
La prima è il cosiddetto margine estensivo, che opera attraverso la distruzione di alcune occupazioni e la creazione di nuovi lavori: le nuove tecnologie, infatti, soppiantano molti lavori routinari, semplici o complessi, e al tempo stesso creano il fabbisogno di nuove figure professionali. La seconda è il cosiddetto margine intensivo, che opera attraverso il cambiamento delle competenze necessarie nelle professioni. Mentre la prima dimensione riguarda in particolare alcune professioni a media qualifica, la seconda dimensione riguarda tutte le professioni e avrà un impatto molto più profondo e rilevante. Le professioni del futuro saranno più complesse, le competenze richieste per svolgere queste professioni saranno altrettanto complesse e variegate.
In parallelo, si osserva un crescente impegno delle maggiori economie mondiali in campo energetico e ambientale orientato verso la “transizione verde”, una strategia di crescita basata su inclusione e innovazione in cui si prefissano ambiziosi obiettivi ambientali. Tutto ciò favorirà lo sviluppo di opportunità occupazionali per tutte quelle attività legate alle tecnologie rinnovabili, con effetti positivi di spillover sui settori a queste connessi. Viceversa, i settori energivori, per poter attuare la transizione verde, potrebbero necessitare di importanti fenomeni di ristrutturazione.
I processi demografici costituiscono la terza grande transizione. L’invecchiamento della popolazione è un fattore oramai distintivo delle economie avanzate (e non) e ha il duplice effetto di modificare la composizione per età della forza lavoro, rendendola sempre più multigenerazionale e, contestualmente, di cambiare i modelli di consumo e di spesa, con un peso sempre maggiore della cosiddetta silver economy.
Tutte queste transizioni comporteranno un rilevante cambiamento delle skills e delle competenze richieste sul mercato del lavoro. Diventeranno sempre più importanti le cosiddette competenze trasversali (skills cognitive, sociali eccetera) che affiancano le competenze tecniche. Al tempo stesso le competenze specifiche legate alle transizioni sopra citate diverranno sempre più pervasive e centrali: buona parte delle occupazioni del futuro saranno intensive di competenze digitali, green e dovranno avere maggiore attenzione alle tematiche demografiche.
I megatrend illustrati brevemente si intersecano con due grandi shock che hanno caratterizzato l’economia italiana e internazionale negli ultimi due anni. Da una parte, lo shock pandemico iniziato nel 2020 che non ha ancora esaurito i propri effetti, come dimostrano i lockdown generalizzati adottati in Cina all’inizio del 2022. Dall’altra, l’esplosione del conflitto in Ucraina, che avrà pesanti ripercussioni a medio/lungo termine sia di carattere economico che geopolitico.
Lo shock pandemico ha avuto un impatto pesantissimo a livello economico, comportando una diminuzione del Pil del 9%, quasi il doppio della maggiore recessione (quella del 2009) verificatasi nel dopoguerra. Come sottolineato nei rapporti precedenti, non tutti i settori sono stati colpiti allo stesso modo: infatti, mentre i settori industriali e quelli maggiormente legati alla mobilità (per esempio, il turismo) hanno subìto pesanti contrazioni, altri settori, quale quello dell’informatica, sono stati meno penalizzati dalle restrizioni alla mobilità.
A questo punto il report ricorda l’adozione, nel contesto del Next Generation Eu (NGEu), del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), approvato nella prima metà del 2021, che si articola in sedici componenti, a loro volta raggruppate in sei missioni: Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione e Salute. Il Pnrr impiega i fondi straordinari messi in campo dall’Unione europea per far fronte allo shock pandemico.
L’Italia è il maggior beneficiario dei fondi che derivano da due strumenti del piano Next Generation Eu: il Dispositivo per la ripresa e resilienza (Rrf) e il Pacchetto di assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d’Europa (React-Eu). La maggior parte dei fondi provengono dal Rrf, che garantisce risorse per 191,5 miliardi di euro nel periodo 2021-2026, delle quali 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto. Il fondo React-EU invece garantisce risorse pari a 13 miliardi. A queste si aggiungono 30,6 miliardi del Fondo complementare (a carico dei singoli Stati) che portano la dotazione complessiva per l’Italia a 235,12 miliardi di euro.
È necessario, però, sottolineare – secondo il report – che l’impatto positivo del Pnrr è fortemente condizionato dallo scoppio della guerra in Ucraina e dalle tensioni geopolitiche ad essa connesse. Il Governo ha stimato in circa un punto percentuale la riduzione della crescita del Pil nel 2022 a causa del conflitto; tuttavia, l’incertezza è molto elevata e sono possibili scenari addirittura recessivi nel caso di un blocco completo delle forniture di energia da parte della Russia.
A livello macroeconomico l’impatto del conflitto in Ucraina si manifesta attraverso tre canali. Un primo canale è riferito al mercato delle commodities, soprattutto i prodotti energetici quali petrolio e gas naturale, di cui la Russia è uno dei principali esportatori mondiali. In particolare, la forte dipendenza dei paesi europei dal gas russo associata alla scarsa flessibilità infrastrutturale (il trasporto del gas avviene prevalentemente attraverso gasdotti la cui portata è difficilmente modulabile e orientabile) ha causato un aumento dei prezzi senza precedenti.
Petrolio e gas non sono le uniche commodities pesantemente colpite dalla guerra; Russia e Ucraina sono tra i principali produttori mondiali di grano, orzo, manganese, fertilizzanti, semi di girasole e acciaio. La forte crescita del prezzo delle commodities ha causato un’ulteriore spinta all’aumento dell’inflazione, già particolarmente accentuata a causa dei rallentamenti che si sono versificati nelle catene di produzione in seguito alla crisi pandemica.
Un secondo canale opera attraverso le interruzioni delle catene di produzione causate dalla scarsità dei beni maggiormente colpiti dal conflitto.
Il terzo canale, infine, opera attraverso l’interruzione dei flussi commerciali diretti verso la Russia. Complessivamente gli scambi commerciali del nostro paese verso la Russia ammontano a circa 8 miliardi di dollari e rappresentano circa l’1,5% del valore totale delle esportazioni. Complessivamente sia lo shock pandemico che il conflitto in Ucraina hanno imposto un forte ripensamento delle catene di produzione.
Il report si sofferma, poi, a spiegare i criteri dei tre scenari economici all’interno dei quali si ipotizzano le previsioni occupazionali.
Lo scenario A, più favorevole, ha come riferimento il quadro programmatico del governo contenuto nel Def, che incorpora gli effetti sull’economia italiana di tutti gli interventi legati alle risorse del Piano NGEu. Tale scenario prevede una crescita economica del 3,1% nel 2022, del 2,4% nel 2023 e dell’1,8% nel 2024. Il tasso di crescita è previsto poi stabilizzarsi all’1,5%. Nonostante lo scenario programmatico già sconti l’effetto negativo sulla crescita del conflitto in Ucraina (le stime precedenti dello stesso governo indicavano una crescita superiore al 4%) si basa tuttavia su ipotesi piuttosto ottimistiche relativamente a durata e impatto del conflitto. Il protrarsi e l’inasprirsi della guerra in Ucraina impone dunque di formulare delle ipotesi più conservative.
Gli scenari B e C non differiscono molto in termini di crescita complessiva nel quinquennio; tuttavia, si differenziano nella dinamica lungo il periodo di previsione. Lo scenario B prevede un rallentamento della crescita nel 2022-23 e una ripresa nel 2024-25, mentre lo scenario C prevede un rallentamento ancora più marcato nel 2022-23 e una ripresa più robusta nel 2024-25.
Segnatamente, lo scenario B – intermedio – ipotizza un blocco delle esportazioni di petrolio e gas russo a cui è possibile far fronte assicurando forniture di gas necessarie al paese grazie a un incremento delle importazioni dai gasdotti meridionali, un maggior utilizzo di rigassificatori e un modesto aumento della produzione nazionale.
In tale contesto, tuttavia, poiché gli stessi sforzi di diversificazione sarebbero intrapresi da tutti i paesi europei, si assisterebbe a un rialzo dei prezzi energetici più rilevante di quanto ipotizzato nello scenario precedente con effetti avversi sull’economia.
Lo scenario C, più negativo, ipotizza che lo sforzo di diversificazione non abbia completo successo e che dunque si possano verificare vere e proprie carenze di gas con conseguente maggior effetto sui prezzi.
Passando ora ai risultati di carattere più generale sull’andamento dello stock occupazionale nel medio periodo, il report stima tra il 2022 e il 2026 un incremento del numero di occupati compreso tra 252mila e 304mila unità in media annua, a seconda dello scenario di riferimento. In tal modo, l’Italia potrebbe ritornare ai livelli occupazionali pre-Covid del 2019 già alla fine del 2022 secondo lo scenario A e nel 2023 secondo gli scenari B e C. Per il complesso del quinquennio, quindi, la crescita stimata dello stock occupazionale per effetto dell’espansione economica (l’expansion demand) dei settori privati e della Pubblica amministrazione potrà variare tra circa 1,3 e 1,5 milioni di unità.
La forbice tra la previsione dello scenario più favorevole e le stime degli altri due scenari rappresenta, dunque, il costo in termini occupazionali del conflitto in Ucraina.
Nello scenario intermedio, che delinea un quadro economico più vicino all’attuale contesto caratterizzato da incertezza sull’evoluzione e sugli effetti della guerra, si stima una mancata crescita dello stock di 235mila occupati, che può arrivare fino a 256mila unità nello scenario negativo. La previsione di crescita dello stock occupazionale per effetto dell’espansione economica tra il 2022 e il 2026 è di poco inferiore a 1,3 milioni di occupati nello scenario considerato.
Nel dettaglio, l’expansion demand dei dipendenti dei settori privati costituirà circa i tre quarti del totale e lo stock dei lavoratori autonomi è stimato aumentare di circa 270mila unità; per i dipendenti pubblici la crescita stimata è di circa 65mila unità. L’industria esprimerà, nello scenario intermedio, una domanda di lavoratori di 325mila occupati, a fronte di 937mila per i servizi. In entrambi i macro-settori il tasso di crescita previsto è pari all’1,1% annuo.
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